Il giovane favoloso

Il giovane favoloso

Giacomo Leopardi è uno di quei personaggi così tanto proposti nei programmi didattici da sembrare – erroneamente – ben conosciuti: questa falsa consapevolezza suscita l’adesione acritica ad un modello descrittivo che è, in sostanza, un involucro vuoto all’interno del quale ciascuno proietta le proprie fantasie. Ma l’umanità del poeta resta sommersa dentro i luoghi comuni che fanno – sempre – riferimento alla solitudine, all’incomprensione, alla malattia.

Chiunque di noi è – anche – artefice dei propri problemi relazionali: ed è proprio in quell’artificio espressa la massima parte della personale umanità. Se un omosessuale vivesse in un paesino dove tutti si conoscono, quasi sicuramente apparirebbe personaggio solitario ed introverso e – magari – nei pomeriggi dei dì di festa, nascostamente dagli occhi del vicinato, si scatenerebbe in amplessi allegrissimi in uno dei pochi locali o saune disponibili (non troppo) lontano dalla strada di casa.

Consapevoli dei luoghi comuni che l’ inconscio sociale ci propone, con grande interesse ed altrettanta circospezione ci siamo apprestati alla visione del film di Martone; uscendone delusi poiché abbiamo ritrovato esattamente quei luoghi comuni: solitudine, incomprensione, malattia, che avevamo immaginato; e non ci sembrano sufficienti i tre ingredienti detti – dispensati a piene mani – per spiegare (o giustificare) la bellezza disarmante o la costruzione geniale delle composizioni poetiche di Giacomo Leopardi.

“Il giovane favoloso” si divide in due parti: la vita a Recanati e la vita altrove (Firenze, Roma, Napoli). La vita a Recanati illustra la disperante fatica da cui scaturì la cultura di Giacomo; la prepotente e gelosa incomprensione del padre Monaldo e la fredda e castrante anaffettività della madre Adelaide. La vita altrove manifesta la disperante sofferenza fisica; la prepotente e gelosa incomprensione del mondo accademico e la fredda e castrante anaffettività femminile.

Inoltre la vita di Recanati –  a causa del disagio fisico e delle limitate risorse economiche della famiglia Leopardi (per questo aspetto bisognerebbe rivalutare la figura materna) –, spingeva il poeta verso la definitiva emarginazione sociale avviandolo ad una carriera religiosa; nella vita “altrove” il disagio fisico implicava invece la condanna certa all’emarginazione sociale e all’astinenza sessuale, in ragione dei pesantissimi preconcetti della società bigotta di sempre (chi vuole, legga il bellissimo articolo “Piaceri. …Pare che Rosanna Benzi abbia fatto l’amore…” di Lorenzo Rossi, 1987, Psicoanalisi Contro). I luoghi comuni fortemente caratterizzanti emergono così dai manuali di letteratura come, identici, si colgono nel film di Martone: ma proprio a questo si oppose con tutte le forze e la vitalità Giacomo!

Martone (a sua parziale scusante) lascia sospettare l’esistenza di un’altra prospettiva di desideri nelle pratiche sessuali, nel giovane poeta prima (evidente la masturbazione di fronte alle immagini anatomiche dell’apparato genitale maschile) e poi nell’uomo (una gita in calesse con un adolescente sulle pendici del Vesuvio); ma il pubblico meno avvisato capisce il contrario: svaluta le fantasie masturbatorie adolescenziali e disinnesca il potenziale erotico del rapporto Leopardi adulto-adolescente napoletano, declassandolo al livello di semplice accompagnamento turistico.

La lettura della poetica leopardiana – data da Martone in termini di solitudine ascetico/rivoluzionaria – oltre ad essere drammaticamente falsa, risente del metodo di valutazione delle produzioni artistiche in generale: l’inevitabile, consumato e rugginoso cliché dell’artista “dannato”, fisicamente e psichicamente torturato, emarginato dal mondo e – a causa di questo – incline a linguaggi “estranei” alla vita sociale e quotidiana.

Il film inizia con l’immagine di tre bambini che giocano dietro una siepe: i fratelli Leopardi, il cui tempo era destinato allo “studio matto e disperatissimo” nella biblioteca di famiglia, privato del confronto con il mondo esterno, rozzo, incolto e incline alla superstizione ma decisamente vitale. In quel mondo Monaldo Leopardi appare padre severo ma attento e persino affettuoso nella cura del giovane fragile. Martone racconta Recanati seguendo la ricerca poetica e letteraria di Giacomo e illumina, solo, in due scene il volto della madre bigotta che poi il regista proietterà nella visionaria rappresntazione della Natura ostile, cui il poeta si rivolge per tutta la vita.

Superato in un salto il periodo di undici anni – e trascurando perciò la parentesi importantissima di Bologna –, ritroviamo Leopardi a Firenze: qui avvengono gli incontri con la “desiderata” Fanny e l’amico Antonio Ranieri e il confronto con la società intellettuale dell’epoca, livida d’invidia per le drammatiche splendide liriche del poeta e per questo osteggiato con la pretestuosa rivendicazione del progresso scientifico (che renderebbe la natura benigna). L’atto conclusivo è a Napoli: alle pendici del Vesuvio si conclude la parentesi della vita mortale di Giacomo Leopardi nell’ultimo capolavoro “La ginestra”.

Il film è girato piuttosto bene: bellissima appare la città di Recanati ed interessanti le psicologie: Monaldo, i fratelli, i personaggi secondari sono ben resi dagli interpreti tutti bravi. Abbastanza carente è lo studio psicologico della figura di Ranieri; praticamente inesistente la psicologia di Giacomo, espressa solo in alcuni accenti oppositivi come il non volere giudicate le idee in base all’aspetto fisico. Ma Martone compie proprio quest’errore nel motivare la (presunta) “presunta” tendenza omosessuale quale effetto del rifiuto femminile per il suo aspetto fisico: dalla castrazione materna, alla castrazione di Fanny fino alla castrazione delle prostitute napoletane, inutilmente indottrinate da Ranieri.

Abbiamo trovato molto bravo Elio Germano nell’impegnativo lavoro mimico e di mimesi fatto per somigliare al poeta: meno ci è piaciuta la sua interpretazione delle liriche, troppo da attore e poco da poeta. Ma questa particolare scelta, probabilmente, è stata voluta e condivisa con il regista: i versi sembrano scaturire già in forma definitiva dalla mente di Giacomo praticamente stampati, senza momenti di interruzione riflessiva o ripensamenti per ciascuna delle parole utilizzate.

Tanto ci sarebbe da dire – e vorremmo dire – sulle figure di Monaldo, Adelaide e Paolina Leopardi e Ranieri; sulle assonanze tra Giacomo ed Amadeus; sul natio borgo selvaggio e sull’analisi di qualche poesia: ma ci interrompiamo invece qui.

Il giovane favoloso di Mario Martone è film comunque da vedere. Gli interpreti sono: Elio Germano (Giacomo Leopardi), Michele Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), Anna Mouglalis (Fanny Torgioni Tozzetti, amante di Ranieri), Valerio Binasco (Pietro Giordani, letterato), Paolo Graziosi (Carlo Antici, zio), Iaia Forte (padrona di casa a Napoli), Sandro Lombardi (don Vincenzo, precettore), Raffaella Giordano (Adelaide Antici, madre), Edoardo Natoli (Carlo Leopardi, fratello), Giovanni Ludeno (parente di Ranieri), Federica De Cola (Paolina Ranieri, sorella di Ranieri), Giorgia Salari (Maddalena Pelzet, amante di Ranieri), Isabella Ragonese (Paolina Leopardi, sorella); fotografia di Renato Berta, musiche di Apparat (al secolo Sacha Ring) “che accosta Rossini alla musica elettronica e al brano Outer del canadese Doug Van Nort”.

pietrodesantis

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