Giorni e nuvole

Giorni e nuvole

di Silvio Soldini
con Margherita Buy e Antonio Albanese, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Carla Signoris, Fabio Troiano, Paolo Sassanelli, Arnaldo Ninchi, Teco celio, Antoni Francini.

giorni e nuvole

Capita sovente di assistere a spettacoli che, per raccontare verosimilmente una storia, si sforzano di essere sadici. La verosimiglianza sadica comporta una narrazione piuttosto asciutta, che propone comportamenti all’apparenza inevitabili (il destino) le cui motivazioni sono lasciate alla comprensione dello spettatore, che volentieri si improvvisa psicologo.

A teatro l’operazione riesce male perché la presenza corporea degli interpreti aggiunge sempre ulteriori significati; al cinema riesce meglio perché lo strumento tecnico del montaggio è in grado di censurare qualsiasi espressione non voluta.
In “Giorni e nuvole” si assiste all’inarrestabile declino di un imprenditore sconfitto, che perde tutto per motivi incomprensibili e inoltre, per un lungo periodo, conserva l’abituale tenore di vita affinché la bella moglie possa brillantemente laurearsi in storia dell’arte invero ad un’età piuttosto matura, tendente ai cinquanta.
Il film presenta la storia già nel mezzo, a disastro avvenuto, e senza spiegazioni come se tutto fosse ovvio.

Immediatamente dopo la festa di laurea l’uomo comunica alla moglie, con contraddittoria rapidità, il proprio fallimento. La conseguenza è la presa in carico delle responsabilità famigliari da parte della donna – la immaginiamo bella addormentata per una metà abbondante della propria esistenza – che finalmente scopre di essere capace di lavorare e di guadagnare.
In una fredda realtà piena di contrasti, la bella addormentata si trasforma prima in Cenerentola poi in Madame Bovary per brevissime immagini, mentre l’ex imprenditore diviene capomastro, poi pony express per finire aiuto commercialista.
Il tutto risulta condito da invidie e gelosie inconsciamente incestuose tra padre e figlia, da incomprensibili comprensioni colme di disinteresse, tra madre e figlia e dall’impossibilità dell’amicizia, teoria a più riprese enunciata in una sceneggiatura probabilmente intorpidita da fantasie omosessuali.

giorni e nuvole 2

Ma il filo, che tiene insieme i differenti momenti della storia, è fornito dalla poetica sofferenza dei protagonisti, protratta fino all’esaurimento della pazienza (degli spettatori): l’uomo lava segretamente le camicie di un vicino di casa; la donna sogna il ritrovamento, in un palazzo genovese improbabile, di un affresco (veramente brutto) opera di un inesistente pittore del quattrocento. La scena finale è marcatamente simbolica: la protagonista, sdraiata sul pavimento, osserva l’affresco finalmente riportato alla luce ed affianco a le si distende il marito nella medesima posizione in cui l’angelo dipinto si avvicina alla Madonna dell’Annunciazione, all’interno di in un cielo di stelle, rispecchiate anch’esse dall’ordito del pavimento su cui rimangono i protagonisti, che ricercano il senso del proprio amore.
Bisogna sottolineare alcuni aspetti tecnicamente azzeccati: la scelta della luce “naturale” ha reso l’ambiente fortemente realistico e struggente; il ricorso a frequenti primi piani, nella tradizione del neorealismo italiano e del migliore Pasolini, si è avvalso dei bellissimi volti degli attori; l’uso della telecamera a spalla, in alcune riprese alla maniera di Ozpetek, suggestiona lo spettatore che si sente all’interno dell’azione narrata.
Bisogna anche dire che il regista è stato abile nel suggerire i soliti luoghi comuni (“ci si può fidare solo della propria famiglia”; “le persone semplici sono le migliori” e così via) la cui credibilità era conseguenza di scelte “inevitabili” fatte da personaggi assolutamente poco realistici e ancor meno concreti.

Si tratta di un film furbo ed illogico che descrive il paradiso perduto ed il rimpianto di un’età dell’oro forse mai esistita i cui frammenti i protagonisti smarriscono, nel mentre affrontano una realtà che pesa come il piombo: la fine della giovinezza piena di desideri; il rimpianto dei desideri; la fine del desiderio.
Risulta affascinante Margherita Buy nel suo ruolo tipico, di donna disadattata; di gomma è la mimica impassibile di Antonio Albanese, una sorta di Buster Keaton capace di trasmettere suggestioni. Molto bravi i comprimari nei ruoli della figlia e dell’alcolista capoufficio, momentaneo amante di lei; divertente la procace segretaria dell’ex socio di lui.
Sullo sfondo Genova bella, fredda e senza luminosità, rumori d’ambiente per un iperrealismo banale, e la solita canzone nostalgica degli anni settanta.

p.desantis

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