Pupo di zucchero
In un periodo in cui è di moda il fai da te, corroborato dalle indicazioni onnicomprensive dei tutorial, mi reco con immenso piacere a teatro, soprattutto se gli spettacoli sono importanti e curati; e mostrano la mano sicura del regista e le qualità degli artisti. Molto si impara ascoltando; moltissimo “rubando con gli occhi”, in presenza di un maestro in carne ed ossa. La tecnica del rubare con gli occhi e un metodo di apprendimento straordinario: si avvale del proprio pensiero, mentre fa affidamento al ricordo delle indicazioni scritte o degli apprezzamenti che, in quel momento, rimangono sullo sfondo. Si impara tanto dalle imperfezioni, dagli errori propri e altrui; dalla fatica dell’affanno e della fretta… …
Ho sentito parlare di questo libro – apparentemente dedicato ai ragazzi tra i 10 e i 13 anni – per ben due volte nelle trasmissioni di Radio3. L’autore, Mario Desiati, ha recentemente vinto il Premio Strega con Spatriati e, pertanto, merita la massima attenzione: questo significa innnanzitutto invidia, la mia. Non so come si faccia a vincere un premio, mi sembra impossibile, e ammiro chi riesce. Immagino sia importante affrontare quelle pagine scritte cercando di carpirne il segreto; però di Spatriati parlerò in un’altra occasione.
La stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma presenta, nello scenario splendido delle Terme di Caracalla, proposte varie: generalmente più “leggere” rispetto a quanto si riesce a fare al chiuso. Alcune di queste suscitano grande interesse, altre possono risultare discutibili, nonostante l’impegno profuso da organizzaztori ed artisti.
“Prima di venire inserito nelle antologie, uno scrittore deve essere mortissimo” così diceva la grande Maria Luisa Spaziani, amica per un tempo breve. Mortissimo significa scomparso da un sufficiente numero di anni, in modo che il ricordo non possa nuocere a quanti siano rimasti, per le polemiche di parenti e affini o per il rinvenimento improvviso di scritti segreti. “Poi – aggiungeva – bisogna che qualcuno se ne innamori, cioè comprenda la sua opera, l’apprezzi, la decodifichi, nei termini culturali, sociali e umani”.
Con colpevole ritardo, ho letto il bel libro di Romain Gary (al secolo Romain Kacev) solo alla cinquantatreesima (!) edizione del 2021, di Neri Pozza. L’ho letto perché qualcuno mi ha detto che il (mio) libro C’era una città, or ora pubblicato da Armando, ne ricorda lo stile.