Un curioso accidente, commedia di Carlo Goldoni con la regia di Gabriele Lavia

Un curioso accidente, commedia di Carlo Goldoni con la regia di Gabriele Lavia

La vicenda si svolge in Olanda. Filiberto, ricco mercante, ospita il giovane De la Cotterie, militare francese di piccola nobiltà, ferito in guerra. Nel periodo della convalescenza, il giovane si è innamorato di Giannina, figlia viziata e autoritaria del mercante, che ricambia il desiderio d’amore. Il militare, non riuscendosi a dichiarare, è incerto se fingere una sofferenza maggiore – e prolungare l’ospitalità – oppure preparare i bagagli e partire. L’indecisione del ragazzo rende Giannina irritabile e gelosa; così, gli strani comportamenti dei due insospettiscono Filiberto che intuisce i sentimenti del giovane e lo immagina innamorato della figlia. La ragazza, temendo la disapprovazione, inganna il padre confidando che egli ama, invece, Costanza figlia di Riccardo, mercante rivale; aggiunge che due amanti non si dichiarano perché il padre di lei, rigido e bigotto, non ritiene l’uomo alla loro altezza.

C’è una doppia proiezione: consapevolmente, Giannina attribuisce i propri timori all’amica Costanza; inconsapevolmente, Filiberto addossa a Riccardo la sgradevole concezione classista e, criticandola, decide di intervenire per coronare il sogno d’amore dei giovani: promette al tenente francese di intercedere presso il padre di Costanza. L’inganno produce reazioni confuse e comiche: Costanza si invaghisce realmente del ragazzo e Giannina si ingelosisce per questo intrigo amoroso, inesistente e inventato da lei. Il militare, impacciatissimo, minaccia di partire all’istante ma Giannina, dominatrice della scena, lo trattiene e inventa un nuovo stratagemma.

Filiberto intercede con Riccardo per proporre il matrimonio tra De la Cotterie e Costanza: ovviamente, l’altro rifiuta la proposta per gli argomenti immaginati; ma Filiberto lo vuole ingannare a causa della rivalità commerciale, perciò suggerisce al giovane di sposare la figlia contro la volontà del padre. La soluzione, che prevede l’antica arte della fuga e delle nozze riparatorie, necessità di un capitale: egli dona al giovane una forte somma di denaro per consentire agli innamorati ad osare quel passo. De la Cotterie e Giannina si sposano di nascosto.

Alle cameriere e ai servi, era consentito il matrimonio successivamente a quello dei loro padroni: Marianna, cameriera di Giannina, comunica a Filiberto la decisione di sposare Guascogna, cameriere del tenente. Il mercante ritiene inaccettabile la richiesta, convinto che la sposa sia Costanza, e quindi avrebbe il diritto di sposare la cameriera di lei. Nel mezzo di questa discussione esilarante arriva una lettera scritta dal tenente che chiede perdono dell’inganno compiuto proprio grazie ai consigli e i denari, ricevuti da lui, ma promette di non spargere la voce di questo curioso accidente. Gli sposi si fanno perdonare e Filiberto accetta il matrimonio e condivide la momentanea felicità.

Lo sfondo storico è la Guerra dei sette anni (1756 – 1763) che coinvolse le principali potenze europee di quel tempo. Fu combattuta in Europa e nell’America Settentrionale: da una parte c’erano il Regno di Inghilterra, il Regno di Prussia, l’Elettorato di Hannover, gli Stati della Germania nord-occidentale e il Portogallo; dall’altra, una coalizione formata dal Regno di Francia, dalla Monarchia Asburgica, dal Sacro Romano Impero, dall’Impero Russo, dalla Svezia e dalla Spagna. Vennero anche coinvolte le popolazioni native dell’India e dell’America Settentrionale. La Guerra si concluse col trionfo della Gran Bretagna; gli sconfitti furono i Francesi che persero il Canada, le colonie sulle rive del Mississippi, quelle in India, nei Caraibi, in Senegal…un disastro.

La guerra segnò il tramonto coloniale della Francia e l’inizio di un periodo di povertà e di tumulti sociali. L’Olanda era rimasta in disparte per sfruttare i vantaggi economici che ogni guerra produce: tutto questo, avverte l’autore circoscrivendo la vicenda sul piano sentimentale “è un fatto vero, verissimo, accaduto in Olanda che gli è stato raccontato da suoi Amici Olandesi al Caffè della Sultana, nella Piazza San Marco, a Venezia…”

Immagino che Gabriele Lavia abbia volutamente proporre una lettura moderna del lavoro settecentesco: nella messa in scena si respira un’aria di libertà, forse propria dell’illuminismo goldoniano e della sua cultura cattolica ammorbidita dalle venature protestanti che, forse, solo a Venezia si poteva incontrare in quel periodo storico. Goldoni- Lavia sottolinea un elemento critico, valido sempre: mentre qualcuno combatte, qualcun altro si arricchisce. Chi si arricchisce non è esente dal rimorso – un senso di colpa inconscio diremmo – che si manifesta nei modi più stralunati come incoraggiare il buon cuore altrui a soccorrere coloro che la guerra la subiscono. La buona volontà, che trasuda ipocrisia, si ferma sempre nel momento in cui si debba rinunciare ai privilegi e condividere le risorse… a questo punto il senso di responsabilità è sistematicamente delegato: è giusto aiutare chi soffre, ma l’aiuto provenga da altri!

Riguardo al sentimento dell’amore ci sono accenti interessanti: in un mondo di violenza maschile, Goldoni mette in evidenza un aspetto della violenza femminile – che esiste ed è sostanzialmente manipolatoria – alla quale, forse, si è troppo abituati e genere un senso di frustrazione e di grave impotenza.

Il testo è interessante, psicologicamente profondo: è un guardarsi allo specchio e scorgere immagini che non piacciono e che, perciò, si proiettano addosso ad altri. Il meccanismo della proiezione ci fa scorgere il ladro, il prepotente, l’avaro, il violento nei gesti altrui, assolvendo i propri. Chiarisce come sia facile provare pena quando il problema resta lontano: a questa ipocrisia fa ricorso, ad esempio, un’associazione internazionale – verso al quale provo una grande ripulsa – che mi ricorda quotidianamente come i bambini in Africa muoiano di fame; io so con certezza che il 70% di ogni donazione non verrà investita per salvare vite umane, ma per mantenere in vita quella stessa associazione e provo orrore perché la sofferenza diventa espediente per una speculazione globale.

Lavarsene le mani… qualcuno va a lavarsi le mani in Albania oppure in Africa, traendone persino un vantaggio.

Un curioso accidente, scritto nel 1760, pesca in profondità nonostante l’apparente leggerezza e la comicità: la regia, la scenografia, le musiche e le canzoni – intonate da tutti gli artisti – sono semplici e gradevoli. È coinvolgente il doppio espediente degli spettatori sul palcoscenico e degli attori in platea: proprio questo scorrimento tra il dentro e il fuori suggerisce la riflessione che i fatti raccontati ci riguardino, nonostante sembrino lontani. Interessante la scelta di una scenografia minima, che delimita una zona centrale tra versanti opposti: a sinistra due pianoforti e la musica; a destra una specie di camerino aperto per gli attori, le sedie e la parola. Poi, tutto si mescola. Come fondale, da una parte la catasta dei bauli per il viaggio; dall’altra un tendaggio, con funzione di quinta, alle spalle del piccolo gruppo di giovani spettatori, coinvolti di tanto in tanto nel ritmo teatrale, soprattutto da Gabriele Lavia. I costumi sono in carattere con il periodo storico.

Lo spettacolo è divertente, fa riflettere: a fa commuovere, perché mi ricorda il Teatro Gindriano fatto di pochi oggetti, di riflessione, ironia, allegria, musica, canto e tanta bravura.

Monsieur Filiberto Gabriele Lavia

Madamigella Giannina Federica Di Martino

Monsieur de la Cotterie Simone Toni

Marianna Giorgia Salari

Monsieur Riccardo Andrea Nicolini

Monsieur Guascogna Lorenzo Terenzi

Madamigella Costanza Beatrice Ceccherini

Un giovane Lorenzo Volpe

secondo pianista Leonardo Nicolini

scene Alessandro Camera
costumi 
Andrea Viotti
musiche 
Andrea Nicolini
luci
Giuseppe Filipponio
suono
Riccardo Benassi
regista assistente
Enrico Torzillo
testi delle canzoni
Gabriele Lavia
foto di
Tommaso Le Pera

 

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