Settimane Musicali Meranesi

Settimane Musicali Meranesi

Merano è una città austriaca in cui si parla – anche – un po’ di Italiano.

Fu assegnata all’Italia nel 1920 insieme alla valle dell’alto Adige, al tavolo dei vincitori della Grande Guerra: l’Italia rivendicava la Dalmazia, nei secoli parte della Repubblica di Venezia; ottenne il sud Tirolo, negli ottecento anni precedenti territorio di lingua tedesca e nei cinquecento anni precedenti strettamente legato all’attuale Austria.

I vincitori sono sempre un po’ bizzarri e dispettosi nei loro giochi di potere: divide et impera.

Il Tirolo ricevette il nome dai Conti di Tirolo – località posta proprio sopra Merano – che avevano il loro centro politico per l’appunto a Castel Tirolo, costruzione medievale che domina la valle dell’Adige e fu il capoluogo della contea dal 1140 (circa) fino al 1420, quando Federico IV d’Asburgo spostò la propria sede ad Innsbruck. Ma le origini della struttura vanno molto indietro nei secoli.

Merano – e tutto il Sud Tirolo – sono parte del territorio italiano dal 1920 ma sinceramente, li penso proprio Austria e non solo per la lingua. Debbo dire, comunque, di starci proprio bene nonostante un leggero senso di estraneità, ma anche notevole accoglienza; forse un po’ di indifferenza e una buona dose di allegria.

Nel 1920 gli abitanti di Merano si ritrovarono poverissimi – dopo tanto fasto asburgico culminato nel 1914 con la costruzione della Kursaal – a causa della guerra e della dissoluzione dell’impero; ma erano ancora più poveri i residenti a pochi chilometri a nord, austriaci cugini e fratelli dei nuovi italiani: oltre che stremati, erano gli sconfitti bisognosi di tutto. Molti bambini dal nord venivano inviati a sud, a Merano appunto, per aver da mangiare almeno una volta al giorno.

In tutta sincerità a Merano ci sto così tanto bene da avere iniziato a desiderare la comprensione della lingua tedesca, puro desiderio di capire e rispondere – rigorosamente in lingua italiana – ma con scioltezza a questi connazionali piuttosto belli, aitanti e attualmente decisamente più ricchi dei connazionali residenti più a sud, in media.

Merano è una città bella e vivace, per lo meno in questa stagione e – probabilmente – molto in virtù del turismo; anche se agricoltura, attività vinicola, allevamento e produzione di salumi e formaggi sono importanti; non saprei cosa dire degli altri tipi di attività produttiva.

Dal punto di vista culturale Merano è fiorente: non ci sono grandi musei e le opere d’arte sono un po’ marginali, opere di qualità un po’ provinciale a parte il magnifico castello di cui sopra che però è a Tirolo; ma alcune molto belle e molte veramente interessanti. Probabilmente il mondo tirolese era estremamente civilizzato, nonostante il freddo di un tempo, già tremila anni avanti Cristo e il rinvenimento della mummia di Oetzi ne fa testo.

Le strutture architettoniche fanno pensare ad una cittadina più vicina all’Europa centrale che al mar Mediterraneo: freddo e poco sole – fatto attualmente superato – con una visione del mondo piuttosto austera e faticosa: anche se questo sembra smentito dal tenore di vita attuale, l’operosità e la serietà degli abitanti è assolutamente confermata, insieme ad un bisogno di pulizia urbana altrove meno condiviso.

Tra le attività culturali più importanti della cittadina, una preminente è rappresentata dalle Settimane Musicali Meranesi – Merano Festival quest’anno giunte alla trentacinquesima stagione. Mercoledì 26 agosto c’è stata l’inaugurazione di un programma molto vasto, che si protrarrà fino al 20 settembre con una conclusione importantissima: l’esibizione dell’Orchestra del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo diretta da Valery Gergiev.

Ma anche il concerto inaugurale è degno di una grande manifestazione: la Wordl Orchestra for Peace, fondata da sir Georg Solti, ha inviato uno String Ensemble di notevole caratura.

Le esecuzioni più importanti vengono tenute nella Kursaal (1914), affiancata alla Kurhaus (1874), che può ospitare circa un migliaio di persone – il settanta percento in questa stagione travagliata – ed il concerto di apertura si è appunto tenuto nella grande sala dalla buona acustica. Il programma di sala propone una “piccola” bugia iniziale ed un “piccolo” errore di stampa: era indicata la direzione di Valery Gergiev (bugia) perché l’ensemble musicale si è esibito senza direttore; inoltre il terzo brano in programma è erroneamente attribuito a Edvard Grieg, invece scritto da Edward Elgar… può capitare qualsiasi cosa in epoca covid.

Comunque l’ensemble di archi ha dimostrato una notevole solidità musicale ed un grandissimo affiatamento, oltre ad uno spirito democratico, che fa sempre piacere: i musicisti suonano con un sistema di rotazione alternandosi nelle prime e nelle seconde parti e anche nei ruoli di violino di spalla. D’altronde tutti i componenti della compagine fanno parte stabilmente delle più grandi orchestre europee.

Il programma voleva essere interessante – soprattutto in una logica mitteleuropea – ma si è rivelato un po’ monotono, probabilmente risentendo del clima depressogeno instaurato dalla pandemia, oppure della cattiva coscienza di chi desidera provare piacere nonostante essa: sono stati eseguiti l’Adagio di Samuel Barber, la Suite in stile antico n. 40 di Edvard Grieg; la serenata per orchestra d’archi n. 20 di Edward Elgar e, per finire, la serenata per orchestra d’archi n. 48 di Peter Tcaikovsky.

Il brano di Barber è stra-famoso e stra-eseguito soprattutto nelle situazioni rituali di tenore drammatico: è stato scelto ovviamente per una dedica alle vittime del covid19, così come dichiarato nell’introduzione di benvenuto, letta al 90% in tedesco e al 10% in italiano per rispetto alla proporzione linguistica degli abitanti di Merano.

Il brano è stato proposto con grande precisione e il dovuto pathos: personalmente lo trovo un po’ lungo, per il contenuto che vuole esprimere, e bisogna che gli ascoltatori lo assecondino con una notevole dose di commozione per fare presa fino in fondo e non sembrare un po’ (troppo) retorico.

Di Grieg si legge che non amasse scrivere composizioni molto lunghe e, riterrei, che tale scelta di principio si metta correttamente in evidenza nella suite che risulta “troppo” lunga per le qualità ideative del bravo musicista norvegese, che riesce a inserire nelle sue composizioni quella luce tenue delle regioni del nord, un po’ mistica, un po’ meditativa che esige ritmi abbastanza lenti; molto rigorosa tecnicamente – e validissima nell’orchestrazione anche se un po’ ovvia – la successione dei cinque brani che rispecchia abbastanza fedelmente la tradizione tardo barocca della suite.

Discorso non dissimile si può proporre per Elgar, la cui terra d’origine posta al centro della regione Inglese probabilmente garantisce simili luci e simili tranquillità meditative.

In tutti e tre i brani l’elemento risaltante è stata la precisione ed il rigore della compagine di archi che ha toccato la sostanza di questa musica intensa e meditativa, anche un po’ noiosa.

Molto più vibrante e piena di idee la serenata 48 di Tchaikovsky che, pur essendo nato al centro della Russia, ha sicuramente risentito in maniera positiva di un clima culturale più vibrante e di una tradizione musicale ricchissima, oltre alla propensione russa di volgere verso occidente per apprendere e metabolizzare ogni novità proposta in ambito artistico.

Nella serenata si riconoscono molti dei temi sviluppati anche altrove dal grande compositore spesso incompreso e emarginato, anche a causa dell’omosessualità, espressi con il giusto calore ed impeto partecipativo assolutamente corretto.

Bisogna dire che la qualità espressiva di Tchaikovsky è capaci di imporsi da sola mentre, forse, la presenza di una direzione orchestrale avrebbe potuto giovare all’esecuzione degli altri tre brani, un po’ monotoni, per proporre qualche argomento in più, una ulteriore e personale lettura artistica.

Ma il concerto è piaciuto molto, dopo tanta astinenza, e l’ensemble ha offerto un bis molto gradito: la sempiterna aria, secondo movimento dalla suite n. 3 BWV 1068, per complesso d’archi di Johann Sebastian Bach. Il fatto che si tratti di un brano conosciutissimo non aggiunge né toglie nulla alla sua bellezza che si giustifica da sola e lascia accettare anche qualche piccola imperfezione, scaturita dalla partecipazione e dal piacere di darsi ancora un po’ degli orchestrali.

Grandi applausi degli spettatori, molto eleganti per l’occasione: bei vestiti da sera femminili; bei completi – prevalentemente spezzati e dai colori vivaci – dei ricchi adulti maschi. Non è sfuggita all’attenzione la presenza di giovani, entrambi i sessi, particolarmente interesati.

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