Edipo re, Edipo a Colono

Edipo re, Edipo a Colono

A distanza di vent’anni, Glauco Mauri e Roberto Sturno tornano a mettere in scena i due capolavori di Sofocle sul mito immortale di Edipo. La messa in scena è affidata a due registi: il giovane Andrea Baracco per Edipo Re (interpretato da Roberto Sturno), e l’anziano Glauco Mauri per la messa in scena e l’interpretazione di Edipo a Colono.

D’altronde, si apprende studiando la vita di Sofocle, il poeta aveva scritto la prima tragedia in un’età relativamente giovane (si fa per dire), tra i 60 e i 70 anni e la seconda a distanza di vent’anni, alla fine della sua lunga vita (90 anni). Perciò in questa proposta, per prima cosa cogliamo un inconsapevole (?) teatro nel teatro: Andrea Baracco interpreta Sofocle “giovane” e Glauco Mauri Sofocle “vecchio” … Dobbiamo desumere si tratti di una dichiarazione d’amore, di Glauco Mauri, verso il teatro e verso la vita in generale, che gli auguriamo ricca di molte altre soddisfazioni…

Annota Glauco Mauri: «Edipo Re ed Edipo a Colono sono due capolavori fondamentali nella storia dell’uomo, per gli interrogativi che pongono alla mente e per la ricchezza di umanità e di poesia che ci donano. La storia di Edipo è la storia dell’Uomo, perché racchiude in sé il vivere teso alla ricerca della verità. Solo alla fine del lungo cammino Edipo comprende se stesso, la luce e le tenebre che sono dentro di lui, ma afferma anche il diritto alla libera responsabilità del suo agire. Edipo è pronto ad accettare… purché sia fatta luce… nell’interrogarci, comincia la dignità di essere uomini… il Teatro è un’arte che può e deve servire “al vivere” … nelle radici del passato è il nutrimento per comprendere il futuro… questo è l’impegno e il nostro desiderio».

Certo l’identificazione con Sofocle è propizia: il poeta ebbe una vita piena, ricca di soddisfazioni sin dalla giovinezza, di amicizie e di amori; giunto ai suoi 90 anni non era assolutamente intenzionato a cedere nemmeno alla vecchiaia; se non che un acino d’uva…

Sofocle (Colono, 496 a.C. – Atene, 406 a.C.), figlio di Sofilo, ricco proprietario di schiavi, ricevette la migliore formazione sportiva e culturale, che gli consentì già a 15 anni di cantare da solista il coro per la vittoria di Salamina. La sua carriera di autore tragico fu ricca di successi: a 27 anni conquistò il primo trionfo gareggiando con Eschilo (che, in seguito a questa sconfitta, scelse il volontario esilio in Sicilia). Amico di Pericle, fu stratega insieme a lui nella guerra contro Samo; sposò l’ateniese Nicostrata che gli diede un figlio; ebbe un’amante, Teoris di Sicione (Corinto), da cui ebbe un secondo figlio. La sua ultima tragedia, Edipo a Colono, fu rappresentata postuma nello stesso anno della morte, in segno di grande onore.

Introducendo alcune innovazioni nell’impianto tragico e scenico, Sofocle si impegnò in un lavoro di approfondimento della psicologia dei personaggi, togliendo enfasi a vantaggio della drammaticità e riuscì nell’intenzione analizzare la realtà e l’essere umano. I personaggi vivono in un mondo pieno di contraddizioni insanabili, da cui saranno inevitabilmente travolti perché nascondono un ‘peccato originale’, un malessere fisico e psichico; ciononostante, lottano contro il fato e mostrano una dimensione capace di dannazione e gloria.

La tragedia di Edipo-Re è entrata nel mondo della cultura: letteraria, filosofica, cinematografica di ogni tempo, forse anche a causa della lettura che ne diede Freud all’inizio del ventesimo secolo (1908, Il caso del Piccolo Hans), eleggendola quale paradigma del processo di crescita psicosessuale del bambino, con la definizione di Complesso di Edipo magari suggestionato da una battuta del testo sofocleo, pronunciata da Gioacasta: «Ma tu non temere le nozze con la madre: è già successo, molti mortali si sono uniti con la propria madre, in sogno».

Molte volte ci siamo trovati ad affermare, guidati dalla teoria di Sandro Gindro, che la lettura freudiana è irrigidita in una visione piuttosto limitata delle dinamiche famigliari, forse per timore del perbenismo distruttivo della Vienna fin de siècle.

La verità descritta nel dramma sofocleo sta nell’orrore che Edipo prova per entrambi i genitori – padre e madre –; il giovane li sfugge, muovendo alla ricerca di se stesso: questo “è” il complesso di Edipo…

Edipo Re rappresenta l’uomo giovane nella ricerca di se stesso; spaventato dalla visione di un futuro già scritto nelle proprie origini, insegue l’emancipazione ma non si illude di ottenere regali dalla sorte; piuttosto lotta contro di essa ed il suo inesorabile percorso: la debolezza infantile, il vigore delle forze adulte, la stanchezza della vecchiaia… per questo è capace di svelare l’enigma della Sfinge, suo specchio.

Il tema del conflitto tra predestinazione e libertà, volontà divina e responsabilità individuale, era ampiamente dibattuto nell’Atene del suo secolo, ed è analizzato anche ora, ma con minore coerenza tanto che la vicenda di Edipo può apparire agli spettatori una proiezione di un lontano passato: ma la cultura magico-primitiva equivale all’inconscio e la storia personale fa sempre da sfondo ad ogni visione del mondo razionalistica. Il razionalismo della vita adulta è a contatto con il contenuto magico-primitivo – costituente originario dell’uomo – e se non ne riconosce il valore ne resta succube, producendo i sintomi della malattia: la peste a Tebe. La visione razionalistica posta in termini di conflitto con l’inconscio determina una situazione di stallo, con un finale (di vita) drammatico: la cecità, rispetto alla propria condizione, l’esilio da se stessi.

Nello spettacolo messo in scena al Teatro Eliseo di Roma, in atmosfere cupe di città in rovina (Scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta), Edipo re (Roberto Sturno) affronta il male inarginabile della peste a Tebe, conseguenza di un gesto empio che gli dèi offesi, interrogati da Creonte (Roberto Manzi), imputano a lui.

Determinato a conoscere la verità, ambigua ed equivoca persino verso la sua stessa identità, Edipo non arretra di fronte al timore di una scoperta terribile.

Tiresia (Glauco Mauri), Giocasta (Elena Arvigo), il servo di Laio (Paolo Benvenuto Vezzoso) tentano di dissuaderlo intuendo la realtà dei fatti, ma Edipo insiste: interroga un uomo di Corinto (Mauro Mandolini) e costringe il servo di Laio a parlare. La verità non lo aiuta: Gioacasta si uccide, egli si acceca e va in esilio.

Mendico e cieco Edipo (Glauco Mauri), insieme alle figlie Antigone (Elena Arvigo) ed Ismene (Laura Garofoli), arriva a Colono – rappresentata con alcuni praticabili bianchi e figure umane coperte di manti bianchi, che improvvisamente si animano –. Il re di Atene Teseo (Giuliano Scarpinato) gli accorda ospitalità e protezione. Dopo una serie di vicissitudini, che vedono gli interventi di Creonte (Mauro Mandolini) fratello di Gioacasta e nuovo re di Tebe; e di Polinice (Ivan Alovisio), uno dei suoi figli; Edipo viene accompagnato da Teseo nel boschetto sacro alle Eumenidi e lì sparisce per volontà di Zeus.

Da sempre ammiratori di Glauco Mauri, questa volta non siamo pienamente concordi nella lettura offerta delle due tragedie, che ci è parsa un po’ letteraria e autoreferenziale; soprattutto nella prima parte, in cui Edipo re appare senza slancio vitale e quasi reclinato dinanzi al destino contro cui, invece, si dovrebbe ribellare: lo avremmo visto più volentieri arrogante, preso da una rabbia arcaica, giovanile e paranoica, come il testo di Sofocle vuole (a mio parere) comunicare. Sembra invece un manager in difficoltà, la cui espressività risulta abbastanza monocorde… gli altri personaggi appaiono esili, quasi in due dimensioni, ad eccezione del notevole “uomo di Corinto” offerto da Mauro Mandolini che, invece, è ricco di sfumature e di intenzioni.

Enigmatica la rappresentazione di Edipo a Colono, molto ben recitata ma poco comprensibile (per il sottoscritto) nelle intenzioni: il gioco tra il sacro e il profano, l’omologazione e la disapprovazione non emergono a sufficienza. Se il coro afferma che la cosa migliore per l’uomo è non esser mai nato o morire il più presto possibile per non affrontare la pena della vecchiaia, Edipo tende a dimostrare il contrario, ancora una volta: il ‘padre’ Zeus gli dona la serenità – insieme alla vera saggezza –, gli restituisce gli onori regali e addirittura lo sottrae alla morte.

Le musiche di Germano Mazzocchetti, in Edipo a Colono, sono giustamente drammatiche e gli elementi sonori di Giacomo Vezzani, in Edipo Re, sottolineano le atmosfere post nucleari che tanto impazzano dal cinema al teatro. (PietroDeSantis)

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