SCANDAFÀOLE E RICETTE DE ‘NA ‘ORDA

SCANDAFÀOLE E RICETTE DE ‘NA ‘ORDA

Una parte cospicua dell’Italia centrale, scossa dal terremoto, rischia di scomparire dal panorama economico e culturale del nostro paese; il che, non senza qualche lacrima, comporterebbe una notevole semplificazione per le amministrazioni locali, che non dovrebbero occuparsi quasi più di nulla: scuole, servizi, cultura…

D’altronde, che la tendenza politica stia puntando verso la semplificazione lo si è percepito abbastanza dopo l’ultima tornata di elezioni amministrative. Stanno tornando i tempi di Cicerone, quando la maggior parte dei cittadini romani meno abbienti, ossia i proletari o quelli che non lavoravano, passava il tempo intorno alle case dei ricchi: i Giulii, i Flamini, gli Albani, i Servili, i Quintili… In attesa – e nell’auspicio – di ricevere qualche regalia consistente in piccole somme di denaro o generi alimentari, tali cittadini formavano la clientela (da clientes): costituivano, cioè, quel gruppo di sostenitori disposto a scendere in piazza, a organizzare tafferugli o, in generale, a difendere qualsiasi idea proposta da quella Gens, per stupida che fosse.

Anche ora gli amministratori locali, auto attribuendosi titoli gentilizi, gradiscono vedere belle file di cittadini chiedere contributi di qualsiasi entità: per resistere come semplici privati, come gruppi, come associazioni; tali amministratori preferiscono pensare che un diritto stabilito per legge divenga nelle loro mani – ipso facto – una gentile regalia, con una notevole semplificazione delle procedure di cui sopra.

In linea con tali semplificazioni, un bel teatro – al centro della vita culturale di un bel comune dell’Italia centrale – è stato dichiarato inagibile ben prima del fatidico 24 agosto del duemila sedici; e, come detto, in questo caso il terremoto ha incoraggiato l’amministrazione a rendere stabile la semplificazione precedentemente decisa.

Dopo avere ballato e sussultato da fine agosto a metà gennaio – e in attesa di ulteriori sobbalzi  leggermente terremotati anche noi – abbiamo finalmente potuto assistere ad una ripresa della vita sociale e culturale nel bel Comune di Morrovalle, pesantemente insultato: l’Associazione Culturale della Compagnia delle Rane, orfana di teatro, con la collaborazione del Corpo Bandistico Giuseppe Verdi della Città di Morrovalle, ha organizzato un spettacolo di letture e musica con il fine di raccogliere fondi a favore dell’istituto comprensivo “Enrico Mestica” di Macerata per il rimpiazzo delle attrezzature tecnologiche e didattiche distrutte dal terremoto.

La proposta – curata da Liliana Ciccarelli che ha scelto le letture e i brani musicali ed ha curato l’aspetto registico – comprende ricette, aneddoti e piccoli tranches de vie maceratesi, alternati a marcette e fanfare.

Noi abbiamo assistito alla prova generale, nel bellissimo auditorio del Convento di San Francesco, abbondantemente spogliato di ogni suppellettile nel corso del tempo, ma francescanamente accogliente nella sua nudità, a dispetto del gelido clima invernale.

La banda avanzava dal fondo dell’auditorium suonando una marcetta di Fernando Francia (Topolina) e sono iniziate le letture introdotte dalla presentazione di Nicoletta: si parlava di Polenta (Giampaolo e Rosita); di Polenta con la sapa (Davide); di come si preparava la Polenta (Graziella), del Pane (Lucia); del favoloso momento dell’alba in campagna, una Scandafaola (Davide); delle Lasagne con il sugo di papera (Lella); di ciò che accadeva in una Casa di contadini (Rosita) e dello scherzo giocato dal farmacista a Canestrellu (Luca – Davide – Rosita – Graziella).

Il secondo intervento della banda, diretta con notevole scioltezza dalla Ma Claudia Copponi, era la marcia Talamonese di Fernando Francia a cui seguivano i Cavoli a merenda (Giampaolo); i Gobbi di Trodica (Lucia); la Pasta e cimette di rapa (Lella); il Gioco ed altri vizi (Giampaolo); l’Arrosto in umido (Luca); La madre che è sempre madre (Graziella e Lella). La fanfara Tiziana del Maestro Paolo Canu introduceva la terza parte che includeva ancora il Gioco ed altri vizi (Giampaolo); il Cenone della vigilia di Natale (Lella); i Divertimenti di una volta (Luca); Le frappe (Graziella e Davide); gli Scroccafusi (Rosita, Graziella e Lella); infine le famose Litanie di Mario Affede (Giampaolo, Luca, Lucia, Davide, Rosita, Graziella), un notevole brano di letteratura teatrale, concludevano lo spettacolo con il finale della marcia dall’Ernani di Giuseppe Verdi. La banda usciva dall’auditorio al suono della marcia Paperina di Fernando Francia.

Tutte le letture erano divertenti e gli interpreti bravi e spigliati, nella semplicità della voce e dei gesti; ma alcune erano straordinarie: e se con i cavoli a merenda e le lasagne al sugo di papera ridevo di gusto, con la madre è sempre madre avevo dei sussulti; con lo scherzo a Canestrellu mi uscivano le lacrime, ma con le litanie ero piegato in due: straordinaria la scrittura e altrettanto la resa dei sette attori.

Una piacevole sorpresa è stata fornita dalla banda ed il merito va riconosciuto alla Maestra: la compagine è piuttosto intonata, tiene il tempo e, cosa che mi piace più di tutti, ha quelle piccole imprecisioni che fanno poesia… (non me ne voglia la signora Copponi).

Ciò che immaginavo fosse una lettura a più voci è stato un vero e proprio spettacolo, come si sarebbe detto un tempo: autogestito, in quanto la figura del regista di ruolo è stata assunta dagli stessi componenti della compagnia, come si è detto. Forse, per gli attori, il non avere avuto a che fare con un regista di mestiere si è trasformato in un bene (per ora); hanno assaporato l’ebrezza di un po’ responsabilità personale e di anarchia… ma le idee autoriali e registiche sono state piuttosto buone, di un livello superiore alla semplicità amatoriale.

Ho saputo, in seguito, che il pubblico presente alla prima ha apprezzato entusiasticamente lo spettacolo e che sono già state richieste repliche: anticamente, il teatro era il pianale di un carrozzone, o una piazza, o il sagrato di una chiesa; il teatro era lì dove si esibiva la compagnia teatrale.

È affascinante pensare di esser lì. (pietrodesantis)

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