Le Nozze di Figaro

Le Nozze di Figaro

Le Nozze di Figaro, ossia la folle giornata (K 492) è la prima delle tre opere scritte da Mozart su libretto di Da Ponte. Le mariage de Figaro di Beaumarchais, cui si ispira, era stata vietata dall’Imperatore Giuseppe II a causa dei forti contenuti politici, ma Mozart ebbe il permesso di rappresentarla come opera comica dopo avere operato alcune modifiche al testo.

Il Conte d’Almaviva è invaghito di Susanna, cameriera della Contessa: la ragazza è in procinto di sposare Figaro, ma il Conte cerca di imporle, nei fatti, lo “ius primae noctis”. Nello stesso tempo il giovane Cherubino è innamorato della Contessa e la cameriera Marcellina contende Figaro a Susanna mentre Don Bartolo, antico amante di Marcellina, fa di tutto per essere gradito alla sua vecchia fiamma.

In un ritmo serrato e folle le donne e gli uomini si contrappongono, in una giornata di passione travolgente piena di eventi drammatici e comici. La musica di Mozart, completamente intrecciata con il testo, sottolinea la doppia contrapposizione tra maschile e femminile (“Cinque… dieci… venti…”) e tra potere e servitù (Se vuol ballare, signor Contino).

Si tratta di due contrapposizioni che il musicista percepiva sulla propria pelle tanto che la sua stessa vita – rivoluzionaria – ne risultava rivoluzionata: esse ricompaiono in tutte le opere della maturità (nel Don Giovanni, in Così fan tutte ed anche nel Flauto magico). Mozart per scelta e (anche) per sfortuna, nel 1781 si rese libero dai vincoli della servitù: riuscì a licenziarsi dalla corte del Vescovo di Salisburgo (ricevendo un calcio nel sedere) per recarsi a Vienna affinché la società colta della capitale imperiale ascoltasse la sua voce. Il prezzo della libertà si paga spesso in termini di precarietà economica: la meraviglia e l’entusiasmo suscitati dalla musica di Mozart gli procuravano “molto onor, poco contante”, come recita Figaro nell’aria dedicata a Cherubino “Non più andrai farfallone amoroso”. Mozart è, come Cherubino, sempre innamorato.

Nel mondo in cui si muovono Figaro e Susanna la cultura ha un peso importante: i servi, in quel mondo – e in questo mondo –, sono consapevoli della propria dignità e spesso sono più preparati dei padroni, che delegano loro gran parte delle incombenze. Le vicende della folle giornata prendono l’avvio dallo ius primae noctis, che il Conte desidera imporre a Susanna separandola dal suo promesso sposo.

In realtà in Europa non esisteva un simile “ius” sancito come diritto riconosciuto – oltre che esercitato –, ma presso molte popolazioni non europee era costume consegnare la sposa al marito dopo averle fatto incidere l’imene da un esperto o dopo averla fatta deflorare da qualche personaggio autorevole, un sacerdote o il capo della tribù; talvolta il compito era affidato ad uno schiavo o ad uno straniero o al padre della fanciulla. Le motivazioni di questa pratica sono varie: gli etnologi la considerano come un residuo della comunità sessuale, dopo il passaggio al rapporto individuale – cioè alla formazione della famiglia –, riconoscendo ad un’unica persona la recita di ciò che era stato il diritto della comunità. Così la pratica dell’iniziazione sessuale si collega con i riti della pubertà anche nello scopo di preservare l’uomo dai malefici del primo amplesso, che comporta la rottura dell’imene.

La teoria freudiana propone un’interpretazione legata all’angoscia di castrazione: “la deflorazione… scatena una reazione di ostilità verso l’uomo, la quale può assumere forme patologiche, che si manifestano abbastanza di frequente attraverso fenomeni inibitori della vita amorosa nel matrimonio, e alla quale si può ascrivere il fatto che le seconde nozze così spesso risultino meglio delle prime” (Il tabù della verginità, 1917).  La figura di un “mediatore” può preservare, perciò, dalla reazione di ostilità della donna nei confronti del coniuge.

È possibile aggiungere un’osservazione sociologica: in un mondo in cui il matrimonio non rappresentava una scelta d’amore, ma un sodalizio motivato da prospettive economiche – la percezione della dote e la speranza di una prole numerosa – l’obbligo dell’unione “fino alla morte” poteva indurre rabbia in entrambi i componenti della coppia (vi sono molti esempi di ribellione al maschile, nella cultura e nella realtà, a partire dalla vicenda di Onan, Genesi 38,6-10). L’aspetto rituale della deflorazione poteva neutralizzare il sentimento rabbioso tra i coniugi, “indirizzandolo” verso un personaggio caratterizzato da un potere riconosciuto.

Ma nelle Nozze di Figaro il matrimonio tra Susanna e Figaro non è combinato per interesse: non si trovano in difficoltà economiche e operano la propria scelta in libertà; neanche la loro privata questione sessuale appare turbata dalla faccenda della verginità. Nel palazzo del Conte, infatti, la sessualità risulta piuttosto libera (“Voi che sapete”) e i “comizi d’amore” si praticano con molta nonchalance, tanto da sfiorare persino il tabù dell’incesto tra Figaro e Marcellina (fortemente attratta dal giovane), che si scopriranno in seguito madre e figlio. Tutto si ricompone a fine giornata grazie all’inganno ordito da Susanna e dalla Contessa ai danni del Conte: la prima si dichiara disposta ad un incontro amoroso con il padrone; la seconda indossa i panni della cameriera per essere da lui corteggiata, onde svelare i torbidi piani dell’uomo ritrovandone (nel finale edificante) anche il desiderio.

La messa del Teatro dell’Opera di Roma, per la regia di Marina Bianchi, riprende l’edizione curata da Giorgio Strehler nell’allestimento del Teatro alla Scala di Milano.

L’Orchestra del Teatro dell’Opera, diretta da Roland Boer, nella serata del 28 maggio scorso non ci è parsa impeccabile: qualche imprecisione qua e là ne ha segnato l’andamento. Tuttavia lo spettacolo è stato godibile ed è piaciuto molto sia per la qualità dell’opera mozartiana, sia per la bravura degli interpreti, sia per le belle scenografie “strehleriane” di Ezio Frigerio correttamente evidenziate dalle luci di Gianni Mantovanini. Bene il coro, diretto dal M° Roberto Gabbiani; bene i movimenti coreografici curati da Tiziana Colombo ed i costumi di Franca Squarciapino.

Sono molto piaciuti i cantanti, applauditi spesso a scena aperta, perché capaci di sottolineare “strehlerianamente” l’ironia della musica e del libretto: Figaro (Markus Werba), Susanna (Rosa Feola), Alessandro Luongo (Il Conte di Almaviva), Eleonora Buratto (La Contessa di Almaviva), Michaela Selinger (Cherubino), Isabel De Paoli (Marcellina), Carlo Lepore (Don Bartolo), Matteo Falcier (Don Basilio), Saverio Fiore (Don Curzio), Damiana Mizzi (Barbarina), Graziano Dallavalle (Antonio).

Gli spettacoli curati da Strehler sono sempre corali per cui, rispettando la logica registica, questa volta preferiamo non sottolineare pregi e difetti degli interpreti: le voci erano belle, la musica straordinaria, la serata estremamente piacevole. (pietro de santis)

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