Il curato e il pagliaccio

Il curato e il pagliaccio

da “Senza titolo 2” e “Il monaco e il pagliaccio” di Sandro Gindro
drammaturgia e regia di Daniela Morelli
con Alessandro Haber e Cecilia Allamprese (debutto)
interventi musicali di Maurizio Camardi, Stefano Fariselli e Alfonso Santimone
Sabato 22 marzo agli Horti Sallustiani per la manifestazione Divinamente Roma

 

 

Sandro Gindro è stato psicoanalista, musicista, autore di teatro. Sosteneva che “ la normalità sia il male e la follia sia il peggio … che il diritto di essere diverso sia anche il diritto di essere uguale”.
I suoi due testi, adattati e messi in scena con molta eleganza da “Dada” Morelli, rimandano a due problemi che la mente umana indaga da sempre: l’esistenza di Dio e la Sua presenza nel creato.
In “Senza titolo 2” il dubbio della fede acquista anche una valenza sociale: fede e ricchezza, fede e povertà generano molti luoghi comuni della nostra cultura.
In “Il monaco e il pagliaccio” l’autore si chiede se la morale ed il piacere possano coesistere davanti agli occhi di Dio, visto che davanti agli occhi degli uomini sembrano scontrarsi.
Il pubblico entra mentre musicisti ed attori sono già in azione: i musicisti si aggirano intorno al palcoscenico – una pedana lunga che attraversa tutta la sala –  mentre gli attori sono seduti: la bambina, Cecilia, con un costume bianco gioca con i sassi come l’angelo di Sant’Agostino in riva al mare; l’attore, Alessandro, è seduto su di una poltrona come un qualunque spettatore.

I due testi sono intrecciati in una storia in cui le meditazioni dell’attore/prete si intrecciano con la vicenda del pagliaccio, puntualmente riferite dalla bambina/angelo: mentre il prete ricorda il suo passato intriso di dubbi, di gesti vili e coraggiosi, dell’oltracotanza di adolescente e della contrapposizione tra lui, ricco e credente, ed un povero, sporco e disperatamente desideroso di credere, si consuma un dramma: l’assassinio di un pagliaccio.
Si tratta del pagliaccio che ravvivava le sagre del paese con le sue recite, trovato morto ad un crocevia. Il prete ricorda l’uomo che rideva e cantava nella piazza mentre in chiesa si svolgevano le sacre funzioni. I monaci si irritavano e desideravano allontanarlo, ma egli provava un intenso calore per quel povero, credente e ricco di un niente, che cantava a Dio il piacere di una fresca fontana, dello sguardo di donna e di un letto di fieno.
Che cos’è la morte di un pagliaccio? A chi può interessare la sua vita e ancor meno la sua morte? Ma il curato sa che i canti allegri, i poetici desideri e le piccole gioie rappresentano altrettante preghiere a Dio, più sentite delle invocazioni severe elevate in chiesa da tutti i canonici.

Noi, che abbiamo frequentato la cultura gindriana, sappiamo che i due testi hanno un fattore comune: la convinzione morale di una verità che deve essere perseguita e la pratica morale del piacere del desiderio e del desiderio del piacere. Se il dubbio dell’esistenza di Dio non intacca l’esistenza di Dio, il desiderio del piacere ed il piacere del desiderio costruiscono la pratica della morale.
Lo spettacolo suggestivo è il risultato della bellezza del testo, dell’eleganza costruttiva di Dada Morelli e della bravura degli interpreti. Alessandro Haber, attore capriccioso e ieratico, ha accettato di confrontarsi con una struttura drammaturgica profonda e densa di significati ed ha colto in più momenti il contenuto nascosto nelle parole; Cecilia Allamprese, alla sua prima prova teatrale, ha reso angelicamente e con incantata intensità la figura di accompagnatrice e testimone che stimola le riflessioni, alla maniera del coro tragico greco.
Le musiche di Maurizio Camardi erano intense ed appropriate e l’esecuzione dei musicisti è sembrata perfetta. Particolarmente bello ci è sembrato il penultimo brano, evocativo di atmosfere di Garbarek. Straordinaria è stata la messe di applausi.

 

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