Al Teatro Italia fino al 24 febbraio:Un grande grido d’amore

Al Teatro Italia fino al 24 febbraio:Un grande grido d’amore

di Josiane Balasko
con Pamela Villoresi, Pietro Longhi
Gabriella Silvestri e Stafano Antonucci
Scene di Aldo Buti
Regia di Maurizio Panici

 
Gigì Ortega (Pamela Villoresi) e Hugo Martial (Pietro Longhi) sono i protagonisti di una commedia tragicomica, sulla scena e ma anche nella vita. Lui, divo in declino, ricorre ad ogni espediente per restare sulla cresta dell’onda; lei, ex alcolista, è in cerca di un difficile rilancio. Insieme sono anche i burattini in mano a Gabri, un’agente teatrale tanto brava quanto spregiudicata, che attraverso il loro successo vuole soprattutto curare le esigenze della propria amata automobile Porsche, coadiuvata negli sforzi dal regista Leone, tipo abituato a nutrirsi di briciole di gloria e sempre pronto a cedere al volere del più forte.

La storia è semplice: all’inizio delle prove di una nuova commedia l’attrice principale – e vera attrazione dello spettacolo – dà forfait perché incinta. La ricerca di una sostituta prospetta le incognite dell’insuccesso fino alla brillante trovata di Gabri: scritturare Gigì, ex-alcolista ma anche ex compagna nella vita e nello spettacolo di Hugo. La loro storia d’amore aveva restituito per dodici anni su tutti i rotocalchi fino al tragico epilogo, causato dalla perdita del figlio per interruzione della gravidanza.
Gabri inventa ogni più improbabile stratagemma ed il suo intento riesce perché sa cogliere un’inconscia verità: i due si sono profondamente amati e tuttora provano una grande pena l’uno per l’altro. Tra ripetuti equivoci le prove si infittiscono e la commedia va in scena con  successo.

Il testo di Josiane Balasko, anche se non passerà alla storia, presenta alcuni aspetti interessanti trattati con la leggerezza di chi ne è solo “quasi” consapevole: primo fra tutti il tema della maternità, vero elemento “critico” della commedia. Da questa “crisi” emerge il carattere egoista di Hugo, il cui imbarazzo verso la paternità assume un valore quasi “cosmico” – a dispetto del livello brillante dello spettacolo – e induce all’amara riflessione che l’aborto è sempre e comunque indotto dall’indifferenza. Il riconoscimento della propria indifferenza genera la catarsi del protagonista ed il tragicomico “lieto fine”.
Altro aspetto interessate è racchiuso in alcune battute affidate a Gigì – e genialmente annotate da Pamela Villoresi grazie ad un impercettibile tono nella voce – come, ad esempio, l’idea che per un maschio sia più facile trovare “un ruolo da protagonista” anche in età matura; i “ruoli” per la donna invece si esauriscono nel tempo: e questa è un’altra amara verità. Pamela Villoresi, sciolta e brillante, ha dato un saggio del suo intero repertorio: accorata, drammatica, ironica, esibizionista, cinica, sincera è stata molto ben assecondata dagli altri protagonisti. Pietro Longhi era giustamente borioso e superficiale; Gabriella Silvestri era drammaticamente cinica; Stefano Antonucci perennemente disorientato e accondiscendente. Semplice ed efficace, la scenografia “vera” riempiva un ipotetico palcoscenico “finto” e nudo che via, via si arricchiva di arredi fino all’epilogo vero dello spettacolo “finto” e dello spettacolo vero.
Un solo neo era dato dalla strana acustica del teatro, che disorientava gli spettatori nei primi minuti.
p.desantis

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