Pupo di zucchero

Pupo di zucchero

In un periodo in cui è di moda il fai da te, corroborato dalle indicazioni onnicomprensive dei tutorial, mi reco con immenso piacere a teatro, soprattutto se gli spettacoli sono importanti e curati; e mostrano la mano sicura del regista e le qualità degli artisti. Molto si impara ascoltando; moltissimo “rubando con gli occhi”, in presenza di un maestro in carne ed ossa. La tecnica del rubare con gli occhi e un metodo di apprendimento straordinario: si avvale del proprio pensiero, mentre fa affidamento al ricordo delle indicazioni scritte o degli apprezzamenti che, in quel momento, rimangono sullo sfondo. Si impara tanto dalle imperfezioni, dagli errori propri e altrui; dalla fatica dell’affanno e della fretta…

Insomma, appena avuta a disposizione una finestra temporale, siamo corsi al Teatro Argentina per vedere Pupo di zucchero spettacolo scritto e diretto da Emma Dante. Ormai, a Roma, il Teatro Argentina è l’unico teatro di tradizione che resiste; ci prova un po’ anche il Quirino, ma con grandi difficoltà. Per fortuna la sala era piena; per fortuna avevo trovato due biglietti.

Il testo è liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile; racconta la minuscola storia di un vecchio, che si prepara alla notte dedicata ai defunti impastando il pupo di zucchero. Si tratta di un dono votivo che commemora – ed anche attrae nell’antica dimora – i defunti della famiglia. Si capisce la tradizione radicata nei secoli: romana, greca e ancora più lontana; un sacrificio votivo,  una magia per trascinare in vita i parenti amati.

Il vecchio, piuttosto male in arnese, è rimasto solo a vivere nella grande casa di famiglia ormai vuota. Prepara la pietanza tradizionale della festa dei morti; con acqua, farina e zucchero impasta l’esca pe li pesci de lo cielo: il pupo di zucchero, statuetta dipinta a colori vivaci. In attesa che l’impasto sia pronto per il forno, seduto su di uno sgabello, sente alle sue spalle il canto delle tre sorelle: Rosa, Primula e Viola, come i fiori che profumano di primavera. Le tre sorelle lo osservano; commentano e scherzano mentre, mezzo addormentato, cade con la testa sopra l’impasto. Nel dormiveglia la casa si riempie di vita: arriva prima il padre, bello e giovane come era, quando scomparve in mare; poi mammina, ormai vecchia e dal core tremmolante che, per mesi e mesi, aveva atteso inutilmente il ritorno del marito e infine si era arresa portando, però, in casa il giovane Pasqualino tuttofare, una specie di Arlecchino di Africa. Fa la sua comparsa Pedro, dalla Spagna, che si strugge d’amore per Viola mentre lo zio Antonio e la zia Rita s’abboffavano ‘e mazzate… è tutto un riempire la scena di movimento, di piccoli episodi simultanei: di arte drammatica, danza, canto, acrobazie interpretati da attori bravissimi e giovani. Ci si immerge in un caleidoscopio di bravure significative e simboliche, che riempiono lo spazio e arricchiscono di significati e fantasie lo spettatore, accompagnato dagli esigui commenti del vecchio. Esigui, ma importantissimi, due in particolare: gli accoppiamenti violenti di zio Antonio e zia Rita, pieni di intensità sensuale ma cattiva, erano accompagnati dalla piccola frase ma chisto nun è ammore; e l’altra: bisogna aspettare il due novembre per avere un po’ di vita descrive un sentimento di solitudine comune a tutti gli anziani, sperduti nelle stanze chiuse degli appartamenti, lontani dalle relazioni della vita vissuta.

In conclusione, cotto il pupo e dipinto vivacemente, il raggruppamento dei defunti diviene reale: ognuno degli interpreti appende l’alter ego scultoreo del personaggio rappresentato ad una spalliera. Rappresenta la cancellata della chiesa o del cimitero: i giovani interpreti sono scomparsi e resta il vecchio inginocchiato davanti ai personaggi inscheletriti, vestiti come si vedono nelle teche sotto agli altari.

Il testo conterrà, complessivamente, cinquanta righe scritte, ma lo spettacolo è straordinario: attori bravissimi e giovani, capaci di danzare e cantare, di fare acrobazie, riempire il palcoscenico senza esitazioni spaziali e temporali. Bisogna tributare a Emma Dante il riconoscimento che le spetta: una grande cultura teatrale; un senso straordinario della drammaturgia ed una sensibilità registica degna dei più grandi. Le si deve riconoscere, inoltre, il merito di portare alla luce i gioielli dimenticati di quella miniera inesauribile che è Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, riprendendo il sentiero aperto nel 1976 da Roberto De Simone e dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare con La Gatta Cenerentola.

Gli applausi si sono sprecati e le uscite per i ringraziamenti della compagnia sono divenute una specie di maratona; personalmente, essendo quasi omonimo, ho emulato Pedro rivolgendomi a Viola, dalla prima fila in cui ero seduto, per dirle  che sarei rimasto lì sino all’indomani… Magia del teatro e della catarsi a cui talvolta invita.

PUPO DI ZUCCHERO
La festa dei morti
liberamente ispirato a “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona
costumi Emma Dante
sculture Cesare Inzerillo
luci Cristian Zucaro
foto di scena Ivan Nocera

produzione Sud Costa Occidentale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale,
Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur, Teatro Biondo di Palermo,
La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d’Avignon, Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes, Carnezzeria
e con il sostegno dei Fondi di integrazione per i giovani artisti teatrali della DRAC PACA e della Regione Sud

 

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