Mozart all’Opera di Roma

Mozart all’Opera di Roma

Il nuovo allestimento de Le nozze di Figaro del Teatro dell’Opera di Roma per la Stagione 2017/2018 (con sovratitoli in italiano e inglese) ha la regia di Graham Vick e la direzione di Stefano Montanari.

Il regista inglese, noto per le letture innovative e spregiudicate del melodramma, si è avvalso delle belle e molto originali scenografie e dei costumi intriganti di Samal Blak, dei movimenti coreografici di Ron Howell, delle luci di Giuseppe Di Iorio e soprattutto della direzione attenta e disinibita di Stefano Montanari.

L’intenzione del regista è esplicita nel sottolineare la sensualità suggerita dal testo di Da Ponte e più ancora dalla musica mozartiana: in questo spettacolo si coglie molto bene come libretto e musica siano fortemente collegati e straordinariamente attuali in questa ed in tutte le ultime opere mozartiane. Fu il grande Amadé ad offrire copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte, che la tradusse in lingua italiana (lingua ufficiale dell’opera lirica) rimuovendo gli elementi di satira politica e denudando il forte carattere sessuale, il cui orientamento è comunque più politico di ogni altra cosa.

Il pensiero di Graham Vick trasporta la vicenda al presente con buona coerenza. A sipario aperto, un pavimento a grossi quadri bianchi e neri  entra sopra al ‘golfo mistico’ dell’orchestra e pochi altri elementi scenici determinano l’ambiente: un lungo separé delimita uno spazio – la stanza riservata agli sposi Figaro e Susanna, oppure l’appartamento della Contessa – entro il quale si aggiungono un materasso, una poltrona, una coperta ed una porta apribile verso la quinta di destra. In chiusura del primo atto entra in scena dirompente, attraverso una lacerazione della stanza della Contessa, la foto-safari di un elefante; presenza che diviene enorme nel secondo atto, lasciando visibili solo le quattro zampe che si innalzano fin dietro l’arlecchino mobile del sipario. Intorno a quelle colonne di pachiderma i cantanti si muovono indifferenti: avere un elefante nella stanza e non accorgersene è un modo di dire inglese che indica una verità palese a tutti meno che ai diretti interessati.

Personalmente ho assistito a svariate edizioni dell’opera, a Roma ed altrove, e debbo ammettere regia e direzione d’orchestra, in questa, forniscono molti elementi di riflessione.

Le atmosfere settecentesche ed illuministiche di Beaumarchais denunciavano la stupidità e gli abusi della nobiltà nei confronti di una popolazione di servitori ed artigiani molto più accorti e colti dei padroni, ma nelle intenzioni di Mozart non è così importante né questo argomento e nemmeno la denuncia dello “jus primae noctis”: la regia, cercando l’accordo con l’intelligenza mozartiana, mette in risalto l’inadeguatezza della violenza esercitata sui corpi oggetto delle donne (Susanna o Barbarina) usati e poi abbandonati (simbolicamente appesi ad un muro come viene mostrato nel secondo atto) e l’assenza di scrupoli nella manipolazione dei servitori maschi traditi nei loro affetti (Figaro) o sacrificati (Cherubino) da parte di un padrone decisamente più stupido dei suoi sottoposti. La redenzione proposta dall’opera, e sottolineata dalla regia, consiste nella comprensione della propria stupidità ed assume il valore catartico della presa di coscienza.

Nello spettacolo di Vick, il castello del Conte di Almaviva è una dimora di nuovi ricchi (definiti a Roma generone), che girano in vestaglia circondati da servitori: tutti fingono correttezza, perché tutti sanno che non ce n’è neanche un po’.

La presenza dell’elefante rinvia ad una verità ignorata: la lettura registica sembra riconoscerla come violenza sulla donna; io non me ne convingo e sostengo consista nella violenza tout court ottusa ed invidiosa e tanto più odiosa in quanto esercitata dai potenti a danno dei servitori capaci di dimostrare le proprie qualità (lo stesso Mozart ne fu vittima), spesso sostenuta da quanti se ne fanno complici per ottenere un utile personale: i vari Don Bartolo, Don Basilio, Don Curzio e Marcellina sono personaggi tanto antichi quanto moderni.

Certamente, alcuni particolari sfuggono e oggi è difficile comprendere il legame tra un debito e l’obbligo legale al matrimonio: si tratta di un nostro problema di ignoranza, perché fino alla costituzione degli stati moderni e degli uffici anagrafici, il matrimonio “civile” consisteva in un contratto stipulato davanti ad un notaio (don Bartolo) in cui una donna (o chi per lei) versava una dote in denaro a garanzia della promessa ed il patto rimaneva vincolante ed esigibile.

Da almeno trent’anni opere letterarie e teatrali esaltavano l’intelligenza e la furbizia della nuova classe di servitori ed operai, più preparati dei propri padroni e in grado di ‘gabbarli’ come canta Figaro nell’aria Se vuol ballare signor contino. L’invenzione mozartiana presta una particolare attenzione nei confronti della scaltrezza femminile: Susanna sa difendersi dalle avances del conte (Se a caso madama la notte ti chiama) ma sa anche imporre a Figaro il dovere guadagnare la sua stima per ottenere il premio della sessualità (Giunse al fin il momento – Deh vieni, non tardar) strumento che pare poter tutto muovere e limite del potere femminile.

In questo allestimento Susanna pare meno ardita della Contessa, resa idelamente protagonista della folle giornata: la desiderata libertà sessuale innocentemente esercitata verso Cherubino ed il voler essere oggetto di desiderio (Porgi amor qualche ristoro) e non solamente un bene da esporre insieme ai quadri appesi al muro, la proiettano nella modernità secondo un’interpretazione che in questo caso suona un po’ banale.

Per mostrare in Cherubino e nel Conte la stessa sudditanza sessuale – prepotente e perdente – Vick li fa vestire in modo simile: giacca blu e pantaloni bianchi, e nel finale vestaglia orientale. Cherubino, adolescente disorientato, è scosso dalla violenza dei desideri (Non so più cosa son, cosa faccio) esaltati dai giochini erotici arrischiati con lui da tutte le dame; il Conte, compiaciuto dalla prepotenza dei propri desideri, è rassicurato dall’esercizio del proprio potere e nel pretendere obbedienza (Hai già vinta la causa).

Riassumo in breve la trama, pur se risaputa: Figaro si rallegra della generosità del Conte che gli ha assegnato una stanza matrimoniale nel palazzo, ma Susanna lo disorienta affermando che quella vicinanza gli consentità di esigere quello ius primae noctis ormai abolito con la complicità di Don Basilio, maestro di musica. L’attempata Marcellina vuole ostacolare l’unione tra i due giovani perché pretende di sposare Figaro, con l’aiuto di Don Bartolo, esigendo la restituzione di un prestito che acquisisce il valore di dote matrimoniale.

Cherubino prega Susanna di intercedere presso la Contessa perché il Conte, avendolo scoperto con Barbarina, lo ha cacciato dal palazzo ed assiste di nascosto alle proposte galanti che il Conte indirizza a lei; ma anche il Conte ascolta Don Basilio svelare a Susanna le attenzioni di Cherubino verso la Contessa: sopraffatto da rabbia e gelosia rinvia le nozze di Figaro e ordina a Cherubino di andare a Siviglia ad arruolarsi.

Susanna non si accontenta di subire e rivela alla Contessa le attenzioni del Conte ed insieme a Figaro elabora un piano per impedire che si realizzino: un biglietto rivelerà al Conte l’appuntamento tra la Contessa ed un ammiratore e Susanna fingerà di accettare un incontro con il Conte, ma al suo posto sarà Cherubino. Lo stratagemma consentirà alla Contessa di smascherare il marito.

Mentre preparano i travestimenti, il Conte insospettito sopraggiunge e trova una porta chiusa: decide di forzare la porta per scoprire chi si nasconda. Cherubino fugge saltando dalla finestra e Susanna ne prende il posto. In una confusione crescente irrompe il giardiniere Antonio  che ha visto qualcuno saltare dalla finestra, poi Figaro che cerca di mentire e ancora Don Bartolo insieme a Marcellina che reclama i suoi diritti matrimoniali: il Conte comprende le trame e promette di vendicarsi.

Il giudice Don Curzio dispone che Figaro debba restituire il debito o sposare Marcellina ma, da un segno sul braccio, si scopre ch’egli è figlio della dama e di Don Bartolo: la donna è lietissima di ritrovare il figliolo e, superato qualche equivoco con Susanna, condona il debito e si accontenta della proposta di matrimonio dello stesso Don Bartolo. Il Conte, invece, monta su tutte le furie nel trovare un nuovo ostacolo alle sue mire.

La Contessa modifica i piani di Figaro e detta a Susanna un bigliettino da far avere al Conte per l’appuntamento notturno, sigillandolo con una spilla, e decide di essere lei stessa ad incontrarlo nelle vesti di Susanna, che va a consegnare il biglietto di persona. Inizia il festeggiamento per le due coppie di sposi: Susanna e Figaro, Marcellina e Don Bartolo.

A notte fonda, nell’oscurità del parco, Barbarina cerca la spilla che il Conte le ha dato da restituire a Susanna, ed ha perso; Figaro che la interroga si immagina tradito e si nasconde insieme ad un gruppo di persone da usare come testimoni, ma Susanna che se ne avvede e decide di farlo stare soffrire.

Cherubino scorge Susanna – in realtà è la Contessa negli abiti della serva – e decide di importunarla; sopraggiunge il Conte che lo scaccia ed inizia a corteggiarla come futura amante ma la donna, sentendo dei rumori, fugge nel bosco. Figaro, rimasto solo, viene raggiunto da Susanna negli abiti della Contessa, ne riconosce la voce e finge esplicite avances verso la padrona, ma infine si scusa con Susanna; nel mentre il Conte interviene credendola sua moglie ed arriva anche Rosina, cioè la vera Contessa, che chiarisce ogni inganno.

Il Conte vedendo sgretolarsi la propria prepotenza chiede perdono in un momento di sincerità e le nozze di Figaro si possono finalmente celebrare: la “folle giornata” si chiude in modo festoso nell’aria conclusiva Ah, tutti contenti.

Avendo già parlato dell’aspetto registico, aggiungo qualcosa sul piano musicale: ci è molto piaciuta la spigliatezza del direttore Mantovani che, infilata la bacchetta tra i denti o dietro al collo, accompagnava al fortepiano i recitativi; abbiamo apprezzato la scelta dell’organico orchestrale numericamente mozartiano con una compagine limitata (anche negli archi) così come prescrive la partitura.

Abbiamo apprezzato il coro diretto da Roberto Gabbiani anche per le qualità corografiche.

Per quanto riguarda gli interpreti del 31 ottobre, abbiano trovato Figaro (Simone Del Savio) corretto ma non esaltante con una vocalità forse trattenuta; ben adatto al ruolo e decisamente apprezzabile, vocalmente e per presenza scenica, il Conte di Almaviva (Alessandro Luongo); divertente e con qualche momento notevole nel canto Susanna (Benedetta Torre); giustamente seduttoria, anche per merito dei costumi e della regia, la Contessa (Valentina Varriale) la cui vocalità è un po’ esile ma molto espressiva; troppo esile invece la voce di Cherubino la cui interprete (Reut Ventorero) è invece esaltante dal punto di vista della recitazione. Bravi e professionali tutti i personaggi di contorno dall’estroversa Marcellina (Patrizia Biccirè) – impegnata nella riuscitissima aria Via resti servita, madama brillante in duetto con Susanna – agli altri: il compassato Don Bartolo (Emanuele Cordaro), l’intrigante Don Basilio (Andrea Giovannini), Don Curzio (Murat Can Güvem), la forsennata Barbarina (Rafaela Albuquerque), il divertente giardiniere Antonio (Graziano Dallavalle), la Prima contadina (Carolina Varela), la Seconda contadina (Nicoletta Tasin) personaggi cui Mozart ha comunque affidato compiti apprezzabili.

Abbiamo colto, nell’opera, gli echi delle altre due “opere italiane” che il regista affronterà prossimamente; nell’epilogo Ah tutti contenti la nostra fantasia ha voluto immaginare l’origine dell’idea verdiana del Tutti gabbati, finale del Falstaff.

È stata una serata bellissima che una volta di più ci avvicina all’opera.

(pietrodesantis)

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