L’eterna gioventù

L’eterna gioventù

Ho ascoltato Maurizio Maggiani presentare il suo ultimo libro domenica 17 ottobre al SalTo, in compagnia di un giornalista.  Il giornalista era di compagnia a lui, non a me, ovvio. L’inizio era noioso e anche poco stimolato dalla presenza assente dell’altro; magari si stavano antipatici oppure il giornalista era, pigramente, troppo estasiato dallo scrittore da risultare incapace di dire alcunché. A me successe qualcosa di simile durante la tesi di laurea in psicologia: il mio relatore non disse niente, non perché fosse così estasiato dal mio lavoro.

In questo caso non si trattava di una tesi di laurea ma, semplicemente, della tesi che riguarda l’eterna gioventù. Cosa sia l’eterna gioventù e come si ottenga, da quella presentazione non si capiva proprio, per lo meno all’inizio. L’autore sembrava dare per scontato che uno – e cioè l’ascoltatore – sapesse già di cosa egli avrebbe parlato e, più precisamente, conoscesse il contenuto del libro e le intenzioni declamatorie di quella domenica mattina, ore dodici. Però Maurizio Maggiani abbastanza presto, per non dire subito, si è sollevato dalla poltroncina bassa, lasciando seduto e indietro il giornalista poco entusiasmante: sollevato il corpo, anche lo spirito è rimasto più in alto e, mano a mano, il discorso è decollato e anche l’interesse.

Il libro parla dell’anarchia anzi, non dell’anarchia in senso stretto, ma di una famiglia anarchica per cinque generazioni successive anche se, in realtà, non tutti i componenti lo furono. Di quelli che non furono anarchici, rimane la restituzione di poche apparizioni poeticamente sfuggenti perché la vita privata, se non è condita di desiderio e coinvolgimento sociale, si perde nel nulla.

Che senso ha dichiarare anarchica una famiglia? Parrebbe un controsenso perché chi è anarchico dovrebbe rifiutare anche l’istituzione famigliare – non l’amore né il frutto dell’amore che è la futura umanità – e, forse, proprio questa dichiarazione cela, oppure esprime, il significato profondo del libro.

Sin dall’inizio della conferenza l’autore si dichiara anarchico – e confesso di sentirmici un poco anch’io –; più precisamente anarchico mazziniano, categoria di cui non saprei dire perché non conosco il pensiero di Giuseppe Mazzini ma, so che Mazzini era un sognatore: in questa categoria mi riconosco.

Sognatore Mazzini, sognatore Maggiani; sognatori quasi tutti i componenti della famiglia in questione, dal capostipite conosciuto come Garibaldo, fino all’ultimo nipote Saverio, detto Menin.

Cosa sognano? L’ideale. Quale ideale? La dignità della persona che, riconosciuta, rende tutti simili.

I componenti di questa famiglia, perciò, sono (quasi) tutti prìncipi, perché consapevoli della propria dignità umana; la quale richiede il pensiero del sociale, la solidarietà e il desiderio della libertà.

La libertà che l’eterna gioventù rivendica non tanto è dal re o dal lavoro – perché il potere e la necessità di lavorare esisteranno sempre –, ma dalla vessazione del re e del padrone: re e padrone sono alleati nella frivola, egocentrica ed onnipotente esigenza di sottomettere. Perciò il desiderio di libertà si rivolge contro quel tipo di re e quel tipo di padrone, non contro l’autorità in generale. Gli attentati anarchici, raccontati nel libro, hanno perciò un valore principalmente simbolico: non è possibile abbattere i re e i padroni ma, quanto il sopruso da essi perpetrato diviene intollerabile, è necessaria una forma di protesta reale e simbolica nello stesso tempo.

Nel racconto, dei centocinquant’anni che vanno dall’esilio a Caprera di Giuseppe Garibaldi fino al crollo del ponte Morandi, i fatti privati si mescolano agli avvenimenti sociali tessendo una trama, determinante per le storie degli uomini e delle nazioni: al suo interno brilla la luce de l’eterna la gioventù alla quale dà corpo la futura umanità, che sono i giovani figli e i nipoti; e infonde spirito l’idea della libertà con il suo desiderio d’amore.

Figura emblematica del libro è la canarina, donna vecchissima che consegna il simbolo dell’eterna gioventù – qualche chilogrammo di tritolo sottratto grano a grano da una fabbrica di strumenti militari – nelle mani dell’ultimo pronipote, Menin, insieme al senso dell’amore.

La lettura del romanzo prende quota pian, piano come la sua presentazione e attrae sempre di più con una emozione complessa, di nostalgia del passato e desiderio del futuro, e la consapevolezza che libertà e dignità dell’essere umano sono le due facce della stessa moneta, che mantiene intatto il proprio valore in qualsiasi epoca, a qualsiasi età anagrafica ed per qualsiasi condizione sociale ed economica; la famiglia dovrebbe essere il primo luogo in cui apprenderne il significato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *