Spoleto, assaggi di Festival

Spoleto, assaggi di Festival

Dal 1982 il Festival dei Due Mondi ci è entrato nel cuore e nelle idee: la prima volta fu per Camicie Rosse (a 100 anni dalla morte di Giuseppe Garibaldi) e Il mio nome èMarilyn (a 20 anni dalla scomparsa di Norma Jeane Mortenson Baker Monroe); dopo di allora per tutte le proposte e le idee, sparse a gran mani dalla direzione del Festival di Gian Carlo Menotti e dei suoi successori.

Ogni anno cerchiamo di tornare a vedere, ascoltare, respirare la cultura del Festival proponendoci in formazioni varie: gruppi, singoli, coppie.

Quest’anno si è trattato – e ci si è limitati così – di una sola giornata e di cinque affettuosi assaggi.Primo è stato il bellissimo sottopassaggio pedonale che, partendo dal parcheggio sotto Torre dell’Olio, arriva alla Rocca con varie uscite intermedie: è fresco, pulito, ben tenuto, con lunghe teorie di tapis roulants che permettono un comodo spostamento, fatto di conversazioni gradevoli, con un sottofondo cortese di musiche festivaliere ed anche di abbracci e baci discreti.

Il secondo assaggio è stato il Concerto di Mezzogiorno che si è tenuto nel Museo Diocesano, Salone dei Vescovi, a cura del Conservatorio di Como con Vittorio Sebastiano Benaglia alla viola e Yuyi Qu al pianoforte, protagonisti in un programma che presentava Märchenbilder Op.113 di Robert Schumann; la Romanza Op.85 di Max Bruch e la Sonata Op.120 n.1 di Johannes Brahms. Noi abbiamo ricordi fantastici dei Concerti di Mezzogiorno, che venivano proposti nel Teatro Caio Melisso e presentati dallo stesso Gian Carlo Menotti o da Paula Robinson – flautista di Nashville protagonista di tante matinée – e dobbiamo dire che, dall’assenza di questi due grandi musicisti ed organizzatori e dai successivi spostamenti delle sedi concertistiche nella Chiesa medievale di Sant’Eufemia e poi nel Museo Diocesano, la qualità delle proposte ed il gradimento degli spettatori è andato scemando.

I concerti da camera propongono programmi molto colti, dall’ascolto impegnativo che, se non sono proprio eseguiti nel salotto di casa e con la tenerezza benevola che si riserva alle proprie cose, richiedono un’importante maestria: in questo caso i due esecutori, che non devono avere provato moltissimo insieme, hanno suscitato qualche perplessità che si univa allo scarso fascino della sala. La pianista, decisa e sicura – diremmo una macchina – suonava un po’ troppo forte per un duo, tanto da ammazzare il compagno di strada: il violista, buono nelle parti principali, sembrava esitante nell’accompagnamento ed anche un pochino calante in alcuni passaggi o nei trilli. Ci è parso che egli stesso nutrisse il nostro dubbio e cercasse, ad ogni intervallo tra i movimenti, di controllare l’accordatura. Sicuramente tra i brani eseguiti il peggiore è sembrato Schumann, forse il più pianistico; il migliore Brahms, che lasciava ampi spazi interpretativi alla viola che vi trovava, finalmente, la giusta dinamica espressiva. A fronte di tutto ciò – inclusa la qualità della sala – il costo del biglietto ci pare esagerato.

Il terzo assaggio – alimentare – è stato purtroppo deludente: i tavoli del Tric Trac sono attraenti ed accoglienti, all’inizio della splendida Piazza del Duomo, e raccolgono i frequentatori più abituali ed informati del Festival tanto da divenire uno spettacolo essi stessi. Però la qualità del cibo, forse per caso o forse per un cambio di gestione, ci è sembrata davvero povera: i famosi strangozzi al tartufo sono stati contaminati dal parmigiano e la quantità industriale di tartufo grattuggiato sopra aveva profumo del nulla; anche la frittatina coperta di trucioli di tubero nero era inodore. Il costo aveva invece il giusto rispetto del luogo e della sua fama.

Il quarto assaggio è stato lo spettacolo di teatro danza del Gruppo Nanou: coreografia di Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci; con Carolina Amoretti, Sissj Bassani, Gloria Dorliguzzo; suono di Roberto Rettura; prodotto da Nanou Associazione Culturale; co-prodotto da NaoCrea / DidStudio; con il contributo di MIBACT, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna, Fondo per la Danza d’Autore della Regione Emilia-Romagna 2017/2018 con il sostegno di Cantieri Danza. A fronte di tanta organizzazione, lo spettacolo Mappe, sembrava piuttosto semplice, per quanto sperimentale: tre giovani danzatrici eseguivano, senza musica, molte evoluzioni dinamiche su di un palcoscenico sul quale era disegnata una sorta di mappa quadrata, con diagonali ed intersezioni. Una voce registrata spiegava cosa sia una mappa, da differenti punti di vista pseudo scientifici; si capiva che le danzatrici andassero prima per conto proprio, poi si intercettassero con qualche intenzione, poi proprio avessero delle relazioni dinamiche coordinate, poi si disperdessero di nuovo seguendo le direttive – immaginiamo – ipotizzate dalla voce. Qualche elemento ritmico talvolta aiutava, altre disturbava le danzatrici, la cui evoluzione abbiamo capito volgesse al termine quando è stata ripetuta la definizione iniziale. Un grande encomio va alle tre brave interpreti, perché crediamo difficilissimo memorizzare un’ora di spettacolo sul (di) nulla, a meno che non si tratti di improvvisazione su qualche tenue riferimento ritmico. Però è stato abbastanza divertente vedere le tre brave danzatrici evoluire in un luogo molto bello, la Sala Convegni del complesso di San Nicolò, potendo approfittare di una certa libertà di espressione fisica lasciata anche agli spettatori.

È sempre un dispiacere lasciare Spoleto senza cenare, passeggiare e dormire almeno una per notte, ma anche piccoli assaggi artistici fanno sempre godere, rinnovano.

Pietro De Santis

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