La pazza della porta accanto

La pazza della porta accanto

una giovane Alda Merini

Alda Merini è stata, a torto o a ragione, forse la poetessa italiana più amata del ‘900 e tuttora è oggetto di venerazione da parte di migliaia di affezionati. Le sono stati dedicati studi letterari, composizioni musicali e teatrali. Al suo funerale, celebrato il 4 novembre 2007, partecipò una grandissima folla, molto più numerosa di quanta non fosse presente alle esequie di Eugenio Montale: così raccontava Maria Luisa Spaziani che, con Montale stesso, contribuì a lanciarla nel mondo letterario milanese nel 1950.

La Merini ebbe certamente una vita travagliata, segnata da disturbi psichici ricorrenti e mal curati con ripetuti internamenti in strutture ospedaliere: il primo nel 1947, quando la poetessa aveva solo 16 anni. Probabilmente anche la sua vicenda matrimoniale fu complessa: il marito, da cui ebbe tuttavia quattro figlie, la fece internare ad intervalli successivi, dal 1962 fino al 1972, nell’ospedale psichiatrico di Milano, Paolo Pini. È assai probabile che soffrisse di una forma di depressione – scambiata per schizofrenia come accadeva assai di frequente in quel periodo storico – aggravata dalla nascita della prima figlia (depressione post-partum).

Rimase fuori del mondo poetico e letterario ufficiale per circa venti anni. Ancora nel 1986 ebbe un ultimo ricovero nell’Ospedale di Taranto e poi, finalmente, a Milano iniziò una psicoterapia.

È stata una scrittrice fecondissima soprattutto negli ultimi 20 anni di vita, durante i quali si è prestata a svariate collaborazioni con il mondo artistico: teatro, musica, arti figurative.

Proprio la sua grande sofferenza si è prestata – e si presta – ad un facile ed antico equivoco: che l’arte sia sempre frutto del dolore. Noi riteniamo non sia così: il momento artistico è piuttosto la riscossa dal dolore e ne determina la sconfitta almeno momentanea. Ma tant’è, abbiamo avuto buoni amici che si sforzavano di inserire in ogni propria opera artistica un elemento tragico, con il fine di rendere il proprio lavoro “più autentico”. Bisognerebbe parlare, però, anche di “terrorismo culturale” e del difficile rapporto di chi “canta fuori dal coro” con tutti gli altri…

Il testo teatrale di Claudio Fava si basa sugli scritti della stessa Merini, in particolare sul racconto: La pazza della porta accanto, pubblicato nel 1995, titolo offerto allo stesso spettacolo. Egli cerca di descrivere, in modo diacronico, proprio i dieci anni di internamento nella struttura psichiatrica, operando però alcune forzature – che non sappiamo attribuire al testo o alla sua messa in scena –: la prima è una traslazione nel tempo di 6 anni e la seconda, conseguente alla prima, è la liberazione di Alda grazie alla legge Basaglia per la chiusura dei manicomi (la cosiddetta “180”, 13 maggio 1978).

Effettivamente l’immagine teatrale che ne risulta è più forte, perché rievoca la liberazione degli ebrei reclusi nei campi di concentramento, da parte dell’esercito sovietico (27 gennaio 1945); senonché è fuorviante e getta un’ombra piuttosto lugubre sulla figura del marito di Alda, Ettore Carniti che, a dispetto di molte contraddizioni, fu profondamente affezionato alla donna ed estremamente protettivo nonostante una convivenza faticosa.

Emerge, dalla rappresentazione teatrale, una figura desiderosa di vita negli aspetti più totalizzanti, e questo è autentico;  ma è discordante e irrispettoso raccontarla solo come vittima di una società ipocrita e contraddittoria – raffigurata nella figura dello psichiatra – mentre la biografia propone qualcosa di differente: una persona volontariamente inquieta, affetta da disturbi depressivi ma piuttosto aggressiva e anelante alla purezza. Di certo ella venne segnata dall’avventura manicomiale: «Si va in manicomio per imparare a morire», scriveva svelando una verità molto più profonda di quanto non appaia.

Dichiara il regista Alessandro Gassmann, «Conoscevo Alda Merini, la poetessa dei navigli, la drammaticità della sua esistenza; anch’io, come tanti, mi sono emozionato e commosso nel sentirla leggere i suoi appassionati versi. Dopo aver letto il testo di Claudio (Fava), ritratto giovanile, intimo e struggente della grande poetessa, ho avvertito immediatamente la necessità, direi l’urgenza, di metterlo in scena. Un testo che si sviluppa all’interno di un ospedale psichiatrico e che ripercorre la drammatica esperienza della Merini. Erano gli anni in cui la parola depressione non si conosceva e chi soffriva di questa malattia veniva definito pazzo. Erano anche gli anni in cui negli ospedali psichiatrici praticavano l’elettroshock e i bagni nell’acqua gelata. È in questa particolare dimensione alienante che la protagonista si trova a condividere le giornate con le altre malate, alle quali offre spontaneamente i suoi versi, ma soprattutto è il luogo dove nasce un’appassionante storia d’amore fra lei e un giovane paziente».

Abbiamo trovato lo spettacolo intenso però monotono; giocato interamente sul desiderio di libertà fisica e morale della poetessa internata e sull’atteggiamento contraddittorio dello psichiatra (o della psichiatria), innamorato e affascinato, ma pur sempre “braccio armato” di una cultura borghese che ha bisogno di generare e distruggere i propri mostri, allo scopo di preservare se stessa (ah! la vecchia antipsichiatria, che nostalgia…)

La storia è semplice: Alda viene internata su richiesta del marito ed entra in un mondo veramente “alieno”, fatto di sbarre e sofferenze inaudite, perché ignorate.La reclusione genera imbarbarimento fisico e morale; l’elettroshock induce convulsioni e sensi di colpa frustranti; i farmaci producono effetti distruttivi quali la perdita dei denti e l’aumento smisurato di peso con un bisogno compulsivo di fumo, caffè, masturbazione… noi abbiamo frequentato gli ospedali psichiatrici, e anche come volontari l’effetto fu devastante.

Il contenuto dello spettacolo è lì, nelle vite disgraziate delle recluse; nelle vicende quasi senza speranza delle infermiere e dello psichiatra; nella fame d’amore e di sesso di Alda e Pier.

Notevole l’interpretazione di Anna Foglietta nella parte della Merini e di tutto il gruppo di attrici e attori.

Le canzoni scelte sono, ovviamente, un po’ fuori tempo ed hanno anche lo scopo di ricordarci quanto ancora siano vicini a noi quei tempi bui, all’apparenza lontanissimi.

Di: CLAUDIO FAVA
Ideazione scenica: ALESSANDRO GASSMANN
E con la collaborazione di: ALESSANDRO CHITI
Regia: ALESSANDRO GASSMANN
Costumi: MARIANO TUFANO
Musiche originali: PIVIO & ALDO DE SCALZI
Disegno luci: MARCO PALMIERI
Videografie: MARCO SCHIAVONI

Produzione: TEATRO STABILE DI CATANIA
TEATRO STABILE DELL’UMBRIA

con: ANNA FOGLIETTA
e con:
ANGELO TOSTO
ALESSANDRA COSTANZO
SABRINA KNAFLITZ
LIBORIO NATALI
OLGA ROSSI
CECILIA DI GIULI
STEFANIA UGOMARI DI BLAS
GIORGIA BOSCARINO
GAIA LO VECCHIO

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