Monica Guerritore: dall’inferno all’infinito
Castel Sant’Angelo è il sepolcro dell’imperatore Adriano. Su di una parete, nel cuore del grande edificio, una stele lo ricorda: «Animula vagula blandula / hospes comesque corporis / quae nunc abibis in loca / pallidula rigida nudula / nec, ut soles, dabit iocos» (Piccola anima, amata, vagabonda /ospite e compagna del corpo / andrai ora in luoghi / lividi, gelidi, spogli /né più, come solevi, ti abbandonerai all’amore, traduzione libera) con i versi da lui stesso scritti.
Trasformato a più riprese in fortezza, sede papale, prigione e forziere, Castello (come dicono i romani) si presenta, al buio della sera, come un paesello racchiuso tra mura, popolato di statue e capitelli, con chiese, saloni, splendidi cortili ed opere d’arte di incalcolabile valore: ma lascia, però ancora, trasparire – oltrepassando la grandiosità imperiale o attraversando l’ingegno architettonico e lo splendore artistico – quella piccola anima immortale…
Se di giorno, per me romano, è meraviglioso salire in cima alla loggia di Giulio II e prendere un aperitivo (costosissimo se vi si aggiunge l’onere del biglietto d’ingresso) guardando scorrere il fiume; di notte è una meravigliosa avventura inoltrarsi tra le pietre straordinarie, arrampicarsi sulle scalette, camminare nel corridoio elicoidale che percorre la pelle muraria, attraversare il ponte levatoio e fermarsi in raccoglimento un minuto dinanzi allo spirito del grande Adriano, per uscire poi a riveder le stelle. Millenovecento anni di storia…
Dopo avere fotografato (come un perfetto idiota) ogni angolo possibile ed ogni scorcio più o meno panoramico, ci siamo andati a sedere nel cortile di Alessandro VI per assistere al recital di Monica Guerritore:
scritto, diretto e interpretato da Monica Guerritore,
assistente alla regia Lucilla Mininno,
disegno luci Paolo Meglio.
«Nella mia intenzione – scrive l’attrice nelle note di regia – il desiderio forte di sradicare parole, testi, versi altissimi dalla loro collocazione “conosciuta” per restituirgli un “senso” originario e potente, sicura che la forza delle parole di Dante, togliendole dal canto e dalla storia, ci avrebbe restituito un senso originario, ci avrebbe condotto all’interno delle zone più dense, oscure e magnifiche dell’animo umano. Sicura che, seguendo un percorso di incontro con le sue figure di riferimento (Virgilio, il suo super-Io, Beatrice/Francesca e gli aspetti del Femminile, il Caos dell’Inferno, Ugolino, il Padre) si sarebbe potuta avvicinare intimamente l’ispirazione originale di Dante nell’affrontare la Divina Commedia. Senza paura dei tagli e senza paura di proseguire quel racconto con parole, e testi altissimi di altri autori, più vicini a noi, come Morante, Pasolini, Valduga. A noi solo il merito di “esserci”, “dire” e “ascoltare”. A voce alta… Col cuore e con la testa… E alla fine “e naufragar m’è dolce in questo mare/ e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Forse…» (dalle note di regia di Monica Guerritore)
Come sempre pedantemente, comincio con il sottolineare l’uso scorretto del termine super-Io, il cui significato nella teoria freudiana – alla quale credo l’attrice faccia riferimento – è quello di censore e non di guida e la sua collocazione è nell’inconscio e non già nella coscienza, ed abbondanti forzature nell’area psico-qualcosa. Credo comunque che il titolo del recital voglia avere il doppio significato: letterale, riferito alla Divina Commedia; metaforico, riferito agli stati d’animo dei poeti e degli scrittori citati, che sono:
Dante Alighieri – La Divina Commedia: I canto; II canto (incontro con Virgilio/Beatrice); III canto (ingresso nell’Inferno); V canto (Paolo e Francesca); XXXIII canto (Conte Ugolino); XXXIV canto (uscita dall’Inferno)
Pier Paolo Pasolini – Supplica a mia madre
Elsa Morante – Menzogna e sortilegio (inizio)
Patrizia Valduga – Cento Quartine (la Tentazione)
Gustave Flaubert – Madame Bovary (estratto)
Victor Hugo – Pathmos
Giacomo Leopardi – L’Infinito
Cesare Pavese – Ultimo scritto.
Naturalmente, e come sempre, ho un paio di eccezioni da fare sui testi e sulla recitazione: la scelta dei brani mi è sembrata poco meditata (per non dire sbrigativa) come se l’autrice ed interprete volesse far leva sui ricordi scolastici degli spettatori e sulla propria capacità evocativa, più che costruire un vero e proprio percorso. Per quel che riguarda la recitazione, non trovo adatta la Guerritore al registro retorico della poesia classica – sia scritta da Dante Alighieri sia da Giacomo Leopardi – un po’ per questioni timbriche, un po’ per gestualità enfatiche che, nel tentativo di attualizzare i testi al 2016, divengono ancora più stucchevoli. Per me l’attrice riesce meglio nella prosa romantica nella quale – tuttavia – rimane qualche forzatura interpretativa; ed è invece decisamente interessante nell’interpretazione degli autori moderni. Erano gradevoli le proposte musicali per l’accompagnamento:
Giya Kancheli – Largo molto da Opera, diretto da Rudolf Werthen
Alberto Iglesias – Alice vive
Ryūichi Sakamoto – Heartbeat
Samuel Barber – Adagio per archi e oboe, diretto da Leonard Bernstein
Musica etnica indiana
Amalia Rodriguez – Caminhos dos deus
Eleni Karaindrou – Depart and Eternity theme
Craig Armstrong – Laura’sTheme
Abbiamo trovato l’iniziativa nel suo complesso interessante e valida: ci ha fatto provare affetto per il luogo e per gli interpreti – che si spendono con un certo amore – suscitato, crediamo, da quelle pietre animate nelle luci della notte e nei sussurri che rimbalzano. Grandi applausi per Monica Guerritore e grandi abbracci dell’attrice ad un nutrito gruppo di spettatori gratificati anche dal costo veramente esiguo. Le responsabilità complessive meritano l’apprezzamento:
Direzione di Edith Gabrielli
Programmazione a cura di Marina Cogotti
Produzione esecutiva Martina Santese