Il capitale umano

Il capitale umano

film è liberamente ispirato al romanzo di Stephen Amidon.

La vicenda comincia una notte, sulla provinciale di una città brianzola, alla vigilia di Natale, con un ciclista investito da un Suv. Questo incidente diviene l’espediente grazie al quale narrare la vita di diversi personaggi appartenenti a due famiglie: quella Bernaschi composta da Giovanni, Carla sua moglie e loro figlio, appartenenti all’opulenza di un mondo legato alla speculazione finanziaria e quella Ossola, in cui Dino, marito di Roberta, psicologa, rappresenta un ambizioso e spregiudicato immobiliarista sull’orlo del fallimento. Completa la famiglia Serena, una ragazza legata sentimentalmente al figlio dei Bernaschi.

L’amore giustifica ogni cosa – siamo abituati a pensare –: però, poi, l’amore stesso viene discriminato. Se si tratti di amore per il “potere”, ad esempio, o per “se stessi” o per il “ruolo sociale” potrebbe venire disprezzato (anche se il più delle volte viene proprio nascostamente invidiato). Nella storia raccontata da Paolo Virzì si riflette su alcuni amori, ambientati in Brianza (territorio che potrebbe rappresentare un luogo-simbolo).

Dino Ossola (un bravissimo Fabrizio Bentivoglio) è innamorato di se stesso – il se stesso che non è riuscito ad essere oppure è stato nell’età dell’oro – e sfruttando l’amicizia con il magnate della finanza Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni) cerca di raggiungere l’oggetto del proprio amore guadagnando alcune centinaia di migliaia di euro: il mezzo è un arrischiato investimento.

A sua volta Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), innamorato del potere, tenta una ripidissima scalata che, qualora riuscisse, moltiplicherebbe il prestigio ma, nel caso opposto, lo porterebbe alla bancarotta.

Serena Ossola (Matilde Gioli), la figlia di Dino identificata come la fidanzatina di Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli), si innamora invece di Luca (Giovanni Anzaldo), giovane bello e disadattato (si definirebbe borderline nel linguaggio attuale).

Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) si invaghisce invece del Teatro Comunale fatiscente e del ruolo di dama impegnata nella cultura: ottiene entrambi in regalo dal marito.

La notte della vigilia di Natale si verifica il “clinamen” epicureo: Massimiliano Bernaschi, deluso di un insuccesso scolastico, passa la notte ad ubriacarsi ed è portato a casa in stato di incoscienza da Serena; Luca, alla guida del costoso suv, per imprudenza investe un ciclista che morirà per le ferite riportate. L’incidente ha un testimone che indirizza gli investigatori verso il veicolo investitore: si sparge la voce che il figlio di Bernaschi sia responsabile di omicidio colposo, determinando una serie di conseguenze inaspettate quali la crisi negli affari e, a margine di questa, la perdita del capitale investito da Dino Ossola.

Il colpevole dell’incidente è Luca ma Serena, per amore del ragazzo che rischierebbe di finire in carcere, preferisce tacere. Tutto tende verso la rovina: Bernaschi, avviato verso il fallimento, mette in vendita il teatro per realizzare mini appartamenti; Dino Ossola, spalle al muro,  rischia di perdere la casa, data in garanzia; Carla decade dal ruolo di dama della cultura e viene insultata dal recente amante, Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio); anche Serena e Luca vivono nell’angoscia di essere scoperti e denunciati.

Ma un nuovo “clinamen” agita ancora gli avvenimenti: Dino Ossola, casualmente, legge una “mail” della figlia e scopre la verità sull’incidente. Copia il file e propone un “affaire” a Carla Bernaschi: novecentottatamila euro – ed un bacio – per scagionare il figlio. Come in un gioco di domino tutto si ribalta: Dino, grazie al bacio (ed ai soldi), raggiunge il proprio oggetto d’amore: se stesso; Carla ritrova il ruolo di dama (e probabilmente un nuovo amante); Bernaschi, scagionato il figlio, è sospinto dal vento fortunato degli affari; persino Luca e Serena sono finalmente lieti – nonostante il carcere –, liberi dalla tenaglia dei rimorsi. E nel mondo consumista, nel quale siamo perfettamente adattati, alla famiglia del ciclista l’assicurazione riconosce un indennizzo di circa trecentomila euro, pari al valore del capitale umano.

È un bel film problematico e forse irritante, ma divertente ed angosciante in un tempo: angosciante soprattutto a causa dell’imbarazzo che suscita il riconoscimento di se stessi nella natura malata dei personaggi rappresentati, tutti colpevoli e  tuttavia inequivocabilmente simili a noi (incluso lo scrivente).

Una considerazione a margine: crediamo che il film si richiami – e forse non tanto lontanamente – al famosissimo ed angosciantissimo Rashômon, di Akira Kurosawa, e che, similmente a quello, faccia lo sforzo di non sposare le ragioni di nessun protagonista: tanto che alla fine il personaggio più ignobile di tutti, avido e sleale, è colui che compie il gesto riparatore in grado di salvare – per paradosso – anche le persone tradite. Se ne può dedurre che solo l’indifferenza risulti veramente indecente?

La regia di Paolo Virzì è attenta ed essenziale; la fotografia di Jerome Alméras è curata ed intelligente; il montaggio di Cecilia Zanuso dona il giusto ritmo alla storia; le musiche di Carlo Virzì, anche se non regalano melodie straordinarie, sono melanconiche ed adatte; la scenografia di Andrea Bottazzini e Mauro Radaelli ed i costumi di Bettina Pontiggia caratterizzano con precisione i luoghi ed i personaggi.

pietrodesantis

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