Vermeer, il secolo d’oro dell’arte olandese

Vermeer, il secolo d’oro dell’arte olandese

ragazza con l'orecchino di perla

“Muore giovane chi è caro agli dei” è il verso di Menandro forse più abusato: si propone, così frequentemente da diventare banale, ogni qual volta si rintraccino le impronte di un personaggio che, in qualche modo, abbia lasciato un ricordo indelebile, a maggior ragione se in un tempo molto breve. Si può affermare così anche per Jan Vermeer, il grande pittore olandese vissuto nel pieno del XVII secolo e le cui opere, pochissime, resteranno fulgide e splendenti nella storia dell’arte figurativa. Pur non essendo studiosi, ma semplicemente innamorati delle arti figurative, ci avventuriamo nella descrizione della mostra romana che, dal 27 settembre fino al 20 gennaio del 2013, impreziosisce le Scuderie del Quirinale (in via XXIV maggio). Della vita di Vermeer si conosce quel poco che si può desumere dai documenti dell’epoca e dai commenti degli artisti suoi contemporanei. Si sa che svolse principalmente l’attività di commerciante d’arte – ereditata dal padre Reynier – e che la pittura risultava, con dispiacere, secondaria ed onerosissima a causa della grande cura posta nella preparazione dei colori ad olio e nell’estrema ricercatezza dei migliori pigmenti rintracciabili all’epoca: il costosissimo blu oltremare, ad esempio, era ottenuto dalla macinazione dei lapislazzuli – pietre preziose lavorate ed apprezzate sin dall’antichità – che Vermeer utilizzò in tutti i dipinti in purezza o mescolato per ottenere sfumature di colore intermedie.

Elemento costitutivo dell’arte di Vermeer è perciò la ricchezza ideativa e compositiva, nella quale si spendeva con la generosità di un innamorato, offrendole i materiali migliori anche negli anni conclusivi della sua vita, durante i quali versò in pessime condizioni economiche. Da questa generosità scaturirono l’estrema vividezza e la qualità dei colori, riscontrabili in ogni dipinto anche a distanza di 350 anni.

Di Vermeer si sa, anche, che nacque protestante ma si convertì al cattolicesimo forse per sposare Catherina Bolnes, di famiglia benestante. La madre di lei, Maria Thins, rimasta vedova, ospitò in casa propria la coppia con i numerosissimi figli – quattordici – e promosse in ogni modo l’arte di Vermeer arrivando ad impegnare la propria rendita: la fama arrise all’artista e gli fruttò la protezione del ricco mecenate Pieter Van Ruijven solo per pochi anni, fino all’invasione francese. La crisi economica che ne conseguì portò al crollo delle commesse e del commercio dei dipinti. Vermeeir morì improvvisamente, poco più che quarantenne. Catherina e Maria chiesero al consiglio cittadino di accettare la casa e i dipinti del marito a sconto dei debiti: rimasero loro solo diciannove opere, alcune delle quali furono ancora vendute per pagare i creditori.

La mostra delle Scuderie del Quirinale include otto opere di Johannes Vermeer (delle 36 a lui attribuite) e all’incirca cinquanta opere di artisti olandesi suoi contemporanei: il carattere dei quadri raccolti riflette la cultura medio-borghese dell’Olanda del XVII secolo. I soggetti casalinghi e il senso di realismo, caratteristico del loro stile, affascinava i collezionisti privati dell’epoca – per lo più mercanti, panettieri, birrai – che esponevano i quadri nelle loro abitazioni chiedendo sempre nuovi soggetti. Nello stesso periodo in Italia, grandi committenti istituzionali, come la Chiesa e le corti principesche, sostenevano invece forme d’arte pubblica e di grande formato, assai diverse dalla pittura intima e ricca di sfumature di Vermeer che affrontava per lo più temi incentrati sul privato: la famiglia, i gesti e i momenti della vita quotidiana, la lettura e la scrittura, il corteggiamento, la musica e lo studio della scienza; e poi le vedute della città di Delft e gli sguardi verso un mondo silenzioso, luminosi di ironia e di tenerezza.

Entrando nella prima sala, se non vi sono troppi visitatori – per questo consigliamo una visita serale: dopo le 18.00 e nei primi giorni della settimana – si viene avvolti subitamente dall’atmosfera sospesa e silenziosa, che promana dai primi due dipinti: la stradina di Delft, capolavoro di Vermeer, e la veduta del Municipio Nuovo di Amsterdam di Jan Van der Heyden. Evitando di elencare le opere esposte e la loro successione, vogliamo riferire alcune sensazioni visive, uditive e persino olfattive suggerite dai quadri: la luminosità vivida della luce del giorno, oppure quella incerta delle candele o di una penombra frequente nelle abitazioni dei paesi del nord; il rumore dei passi sull’acciottolato delle stradine o sui pavimenti lucidissimi; il fruscio d vesti sfarzose e coloratissime anche nella povertà; la ricca precisione dei particolari; il tocco caldo degli strumenti musicali o scientifici; il profumo delle cose. La precisione e la ricchezza delle tecniche pittoriche suggestionano e invitano ad una contemplazione silenziosa ogni singola opera.

Tutti i dipinti presenti nella mostra sono di grande bellezza – alcuni meravigliosi – ma le opere di Vermeer esprimono qualcosa in più. Le abbiamo studiate al massimo della nostra attenzione e confrontate alle altre: abbiamo individuato due elementi – uno “spirituale” e l’altro “formale” – attraverso i quali tentare di descrivere quel “qualcosa”. L’elemento spirituale è rintracciabile nella teatralità dei personaggi: tutti sembrano possedere la consapevolezza di essere osservati e di recitare; cercanno un’intesa con l’osservatore e giocano con lui, anche se spiati in una gestualità intima ed elementare. L’elemento “formale” è dato, invece, dalla luce: nei dipinti di Vermeer la luce promana dal quadro verso l’osservatore; negli altri la luce rimane all’interno: proviene da una fonte immaginata allo scopo di illuminare la scena rappresentata. Le due descrizioni differiscono sono in apparenza.

A generare quell’effetto – ci dice l’ottimo curatore della mostra – contribuisce la straordinaria maestri di Vermeer, capace di ottenere colori trasparenti applicandoli sulle tele in punti piccoli e ravvicinati, con una tecnica nota come pointillé. Egli cercava la resa più vivida possibile attraverso il colore, che studiava con un interesse scientifico: il soggetto era quasi solo un espediente. Nel libro Il segreto svelato, David Hockney, rifacendosi ai numerosi studi sull’utilizzo di strumenti ottici nella pittura fiamminga, sostiene che Vermeer, come altri pittori dell’epoca, facesse largo uso della camera oscura per definire l’esatta fisionomia dei personaggi raffigurati e la precisa posizione degli oggetti nella composizione: secondo tale tesi, l’uso della “camera oscura” spiegherebbe alcuni dei sorprendenti effetti di luce nei suoi quadri, come i “fuori fuoco” che si riscontrano in taluni capolavori, simili alla moderna tecnica fotografica.

Consigliamo di seguire il percorso della mostra dal primo al secondo piano delle Scuderie e di utilizzare l’ascensore esterno per la discesa: da quel pianerottolo potrete ammirare, attraverso la grande vetrata, un grandioso panorama notturno di Roma. Uscendo dall’edificio, verso la grande Piazza del Quirinale illuminata debolmente dalla luce dei lampioni e disturbata solo da poche automobili a quell’ora, avrete l’impressione di essere all’interno di uno dei dipinti appena visti.

pietro de santis

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