Arlecchino servitore di due padroni
Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) scrisse questo testo nel 1746, in un periodo in cui esercitava la professione di avvocato a Pisa, su richiesta di un famoso attore italiano, Sacchi, che gli proponeva anche un tema per l’intreccio: servire due padroni. Sacchi era conosciuto in tutta Europa come comico, con il nome d’arte di Truffaldino, il personaggio della Commedia dell’Arte che interpretava. Goldoni, nello scrivere il primo canovaccio, probabilmente si ispirò ad “Arlequin valet de deux maîtres”, testo firmato da Mandajor (Jean-Pierre des Ours de Mandajors: Alès, cittadina non lontanissima da Avignone, 24 giugno 1679 – Parigi, 15 novembre 1747). Sacchi portò in scena l‘opera, riscuotendo un notevole successo; in seguito, però, altri comici di minore levatura interpretarono la commedia snaturandone le proposte, fatto che spinse Goldoni a trasformare il canovaccio in un testo con tutte le parti scritte. Quest’innovazione consacrò l’inizio dell’opera drammaturgica goldoniana, i cui testi furono interamente scritti e non più lasciati all’improvvisazione tipica della commedia dell’arte. …
“… deponendo l’onestà / delle religioni contadine, / dimenticando l’onore / della malavita, / tradendo il candore / dei popoli barbari, / dietro ai loro Alì / dagli occhi azzurri / usciranno da sotto la terra per uccidere…” (P.P. Pasolini, Profezia, 1962-64)
Parlare di “questione” femminile mi lascia sempre l’impressione del nonsense. Ad ogni questione femminile – mi sembra – dovrebbe corrispondere una questione maschile oppure non ci dovrebbe essere alcuna questione. Leggendo la “Storia delle donne in occidente”, raccolta di scritti storici e filosofici curata da Georges Duby e Michelle Perrot, a partire dall’antichità antichità greca e romana per giungere ai giorni nostri, si scoprono e si puntualizzano leggi e norme definite dall’opera di maschi legislatori, che stimolano alla riflessione nel merito dei diritti femminili.