Cantata “La terra è liberata.” (Apollo e Dafne) HWV 122

Cantata “La terra è liberata.” (Apollo e Dafne) HWV 122

di Georg Friedrich Händel
Oratorio del Gonfalone – Roma
Stagione 2009

Il programma della serata, giovedì 19 novembre, proponeva la cantata “La terra è liberata” (Apollo e Dafne) per Soprano e Baritono, flauto traversiere, 2 oboi, fagotto, violino solo, 2 violini, viola, violoncello solo e basso continuo composta tra il 1706 e il 1710 (cioè nel periodo italiano della sua vita avventurosa) preceduta dal Concerto grosso op. 3 n. 6 del 1723 e dal Concerto grosso op. 6 n. 6 del 1739 (composti nel lungo periodo londinese).
Apollo ha liberato l’Oracolo di Delfi dal serpente Pitone e celebra la propria vittoria. Nel momento del trionfo la sua attenzione viene attratta da Dafne, giovane ninfa del corteo di Diana, della quale si invaghisce. Dafne è un essere felice della propria libertà e non vuole sacrificarsi all’amore del dio, piuttosto preferisce morire: il fato acconsente alla sua richiesta ed ella si trasforma nella pianta del lauro nell’istante stesso in cui Apollo tenta di abbracciarla. Il mito vuole che per quel motivo  i rami dell’albero d’alloro vengano usati per intrecciare le corone da assegnare in premio ai vincitori.

La struttura della cantata è tipica della musica barocca, formata da una successione di arie orchestrate e di recitativi accompagnati solo dal basso. La composizione di Händel eseguita nella serata ricalca lo schema di maniera e presenta un’orchestrazione gradevole che non offre particolari brividi anche se risulta a tratti interessante come nell’aria “Mie piante correte” nella quale il baritono descrive la trasformazione di Dafne in lauro mentre il divino Apollo tenta di stringerla tra le braccia. A dispetto dei versi drammatici il ritmo, un allegro piuttosto sostenuto, sembra esprimere il sentimento dell’allegria piuttosto che quello dello sconforto.
Ma tutta la scrittura musicale è briosa e pare sottolineare un aspetto piuttosto evidente del mito, che la semplice narrazione piuttosto adombra: la scelta omosessuale di Dafne che coincide con una scelta di libertà.
È pur vero che nella tradizione mitica del mondo greco il periodo di passaggio dal potere delle divinità femminili (le dee madri) a quello delle divinità maschili presenta tutta una serie di eroici sacrifici simili a quello di Dafne; questo caso però risulta abbastanza eclatante: si tratta di una vera e propria affermazione di libertà, attraverso il lesbismo, dal potere maschile che si sta affermando. D’altronde il pitone che difendeva l’oracolo era servitore di Gea, una delle dee ancestrali, alla quale il tempio apparteneva in precedenza: “la terra è liberata” risuona come grido dal significato duplice.

Nella rappresentazione in forma di concerto – proposta all’Oratorio del Gonfalone – Roberto Abbondanza rendeva perfettamente l’atmosfera di trionfo e allegria del dio Apollo e, vale la pena sottolinearlo, stringeva correttamente i tempi che, anche nei due brani d’apertura, l’orchestra aveva la tendenza a dilatare: soprattutto lunghissime sono state le pause tra i differenti movimenti in cui risultano divise le composizioni. La voce di Abbondanza, che conosciamo e seguiamo, è morbida e potente insieme ed è maturata nel corso del tempo insieme alla sicurezza interpretativa.

Scarsamente “eroica” e leggermente lamentosa, perciò fuori personaggio, la Dafne di Lavinia Bertotti: la furibonda ira della ninfa, che non è e non vuole essere vittima, non viene correttamente resa né dal timbro della voce né dall’interpretazione troppo compita e vereconda offerta dalla soprano.

Bravi i musicisti, con qualche perplessità nei riguardi della direzione d’orchestra di Andrea Riderelli che ci è sembrata a tratti ampollosa e a tratti distratta; non ci piaceva la gestualità del direttore, ridondante negli attacchi o “rimorchiata” dalla musica né la sua “dipendenza” dalle prime parti orchestrali, il violinista Mauro Lopes Ferriera e la clavicembalista Cipriana Smaradescu. Ci ha fatto molto piacere invece notare David Simonacci che interpretava, tutto solo, il ruolo dei violini secondi.

Pietro De Santis

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