Ma il mio nome è Marylin

Ma il mio nome è Marylin

di Sandro Gindro
letto da Pino Micol e Manuele Morgese

all’interno del convegno “Questioni d’Identità”
Festival dei due mondi – Spoleto52

Il testo di Sandro Gindro, letto mercoledì 8 luglio nella Sala Frau, prese spunto dalla storia vera di un travestito che batteva lungotevere all’inizio degli anni ’70. Il nome d’arte era “Marylin” ma, ai più, era noto come “La porca”. Venne messo in scena la prima volta proprio a Spoleto nel 1982, in una rassegna collaterale al Festival di quell’anno dedicata a Marylin Monroe venti anni dopo la sua morte. In quell’edizione il protagonista fu Lauro Versari e la parte del narratore venne affidata ad un bellissimo Massimo Bracalenti, per nulla capace di recitare ma dotato di altre virtù.

Attraverso i racconti del protagonista (Ettore detto Marilyn, detto anche “La porca”), interpretato da Pino Micol e i commenti del narratore, interpretato da Manuele Morgese, si dipana la storia dell’identità precaria di un aiutante parrucchiere, timido e gentile, che subisce tentativi di violenza sessuale nel retrobottega da parte di Luigi “coiffeur pour dames” e tentativi di seduzione nella bottega da parte delle clienti cui lava i capelli.
Nato in una famiglia piccolo borghese, la madre tanto grassa da sembrare un ippopotamo ed il padre  tanto sciatto da girare in casa con i pantaloni sempre sbottonati e sempre alle prese con la settimana enigmistica, Ettore sembra innamorato del fratello, bello, atletico e sempre in fuga da casa. Poco più che adolescente, Ettore inizia a prostituirsi nel desiderio di incontrare un ragazzo che, oltre i vetri della finestra, vede camminare in strada. Tagliati i baffi, che iniziano a crescere “teneri e morbidi”, si traveste con minigonna, stivali e parrucca bionda. Poi, proprio come Norma Jeane Beaker, sogna di diventare una sex symbol.
Ma ad un certo punto si accorge di essere stufo di lavare i capelli a quelle donne, che parlano di maschi ma pensano solo a se stesse: è, però, anche stufo di somigliare loro. Il culmine della crisi giunge quando un altro travestito, “Mina”, gli propone di far l’amore: “Donna con donna? Uomo con uomo? Chi sono io, chi sei tu? Non è possibile, si tratta di un peccato gravissimo…” Meglio fingere di essere donna per poter andare con i maschi e non commettere un peccato gravissimo.
Il testo si conclude con questa promessa: “Marylin domani non ci sarai più!”

In “Ma il mio nome è Marylin” Sandro Gindro pone due questioni teorico-sociali, che nel 1982 fecero un certo scalpore e non smettono di scandalizzare anche oggi:
–    il complesso di Edipo non consiste semplicemente nel desiderare la propria madre ed odiare il proprio padre, ma nel rifiuto della cultura di provenienza;
–    il travestitismo e la parodia dell’altro sesso hanno poco a che vedere con la scelta omosessuale, ma rappresentano l’estrema affermazione dell’eterosessualità.
Pino Micol è dotato di grande espressività ed è stato straordinario nel cercare di trasmettere tutte le sfumature contenute nel testo, modulando opportunamente il tono della voce; Morgese, bravo, sembrava un po’ frastornato. Mi pare che essi stessi siano rimasti abbastanza disorientati; erano troppo sbrigativi…

Nel 1982 il testo teatrale, così sfacciatamente esplicito, provocò tale irritazione che l’inviato di un giornale importante (a quel tempo il Festival era molto seguito) iniziò la recensione con una critica addirittura al nome dell’autore, Sandro Gindro, perché cacofonico: il giornalista credeva fosse un nome d’arte.
Nel 2009 nessuno ha voluto accorgersi di nulla e, applausi a parte, tutto è passato sotto silenzio. Il fatto è che l’inconscio incute sempre troppa paura e tutti preferiamo accordarci su alcune formulette che salvaguardano i concetti di famiglia borghese – i gay lottano per vedere riconosciute le proprie famigliole con benedizione delle autorità, canone per la TV, vacanze al mare e tutto il resto – e di “naturalità” eterosessuale – tutti i gay affermano di essere cresciuti con un’identità sessuale sbagliata – . La più recente ipotesi “trasgender” ha, a mio parere, un valore puramente commerciale.

Il concetto della “naturalità” della famiglia borghese e della “pulsione” eterosessuale lotta con il problema dell’identità: “Chi dice la gente che io sia?”(Marco 8, 27-30) chiede Gesù confidando solo sul proprio nome e sulle proprie opere.
Sarebbe bello e ricco di significati poter risolvere la questione dell’identità proponendo semplicemente il proprio nome: invece ciascuno di noi è individuato in cerchi concentrici di definizioni  che implicano un eccessivo spogliarsi o rivestirsi. Chi ama un altro lo riconosce solo dal nome; chi è lontanissimo dall’altro ha bisogno di un elenco di referenze.
Rimane comunque straordinario che molti di coloro che si amano si conoscano pochissimo…

Quale soluzione propone Sandro Gindro nel proprio testo teatrale?
Alla domanda di Marylin “Chi sono io, chi sei tu?” Mina semplicemente risponde: “Io sono Mina e tu sei Marylin e voglio far l’amore con te”.

pietro de santis

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