La parte dell’altro
di Eric-Emmanuel Schmitt
collana Dal mondo- edizioni e/o
€ 16,00
2005, 470 p.,
Traduttore Bracci Testasecca A.
Perché parlare di un libro pubblicato nel 2001, in Francia, e nel 2005 in Italia? Cioè perché parlarne a distanza di così tanti anni dalla sua uscita? Primo perché si tratta di un bel libro; secondo perché non sembra molto conosciuto; terzo per l’argomento scabroso di cui tratta.
L’argomento scabroso è Adolf Hitler.
Ho avuto modo di apprezzarne l’autore grazie allo spettacolo teatrale: “Il vangelo secondo Pilato”, apologia umana di Gesù; successivamente ho ricevuto in regalo questo libro.
L’ho ricevuto in dono a Natale ma, respinto dall’immagine di copertina – un ritratto di Hitler – non ho avuto il coraggio di aprirlo fino a Pasqua. Quest’esitazione è scaturita forse da una riflessione inconscia: il Natale è la festa della vita; la Pasqua è la lotta contro la morte.
Per me Hitler rappresenta la follia e la morte. Dico la morte e non il male: il male può avere una motivazione; la morte non ha senso. Ma troppo facilmente si “liquida” con l’etichetta di folle colui che si ha paura di comprendere: questa stessa motivazione dell’autore ho fatta mia.
In un passo del libro l’autore afferma: “Credo che esistano due tipi di mostri su questa terra: quelli che pensano solo a se stessi e quelli che pensano solo agli altri. Chiamiamoli i “malvagi egoisti” e i “malvagi altruisti”…
…I malvagi altruisti fanno più danno perché niente li ferma, né il piacere, né la sazietà, né il denaro, né la gloria…
…Hanno perso di vista la parte dell’altro. Si puliscono le mani intrise di sangue con lo straccio del loro ideale, mantengono lo sguardo fisso sull’orizzonte dell’avvenire, incapaci di vedere gli uomini ad altezza d’uomo, annunciano alla gente tempi migliori facendole vivere i peggiori…”
L’autore vuole raccontare la biografia di Adolf Hitler per riuscire a spiegarsi i motivi di una tragedia e del coinvolgimento invischiato di un intero popolo; nello stesso tempo, vuole dimostrare come ciò sia reso possibile dalla malvagità presente in ognuno di noi, e così ben interpretata dal tiranno nazista, a causa della quale si tollerano azioni riprovevoli che, immaginate sulla carta, farebbero rabbrividire. Quella malvagità coincide spesso con l’indifferenza.
Il meccanismo del racconto è avvincente; si confrontano due vite: quella di Hitler e quella di Adolf H., uguali sino all’8 ottobre del 1908 data in cui, a Vienna, si ebbe l’esito dell’esame di ammissione all’Accademia delle Belle Arti. Cosa sarebbe accaduto se il nevrotico Adolf Hitler, dalle forti problematiche sessuali, fosse stato ammesso a frequentare il corso?
Mentre si dipana una documentata biografia di Hitler, se pur “interpretata”, si sviluppa la storia parallela di Adolf H., motivato a risolvere i propri problemi sessuali anche solo per poter affrontare le accademiche prove di disegno dal vero del nudo femminile. Ciò spinge l’immaginario Adolf H. verso un’altra vita ed un’altra meta che lo rendono umano e simpatico, fermamente contrario alle idee della guerra.
Ma induce ad una forte riflessione proprio la biografia del dittatore: in un tessuto sociale reso osceno dalla guerra (la prima guerra mondiale), ne emerge la capacità di coinvolgere la pazzia di tutti, tutti compromettendo, attraverso gesti ed affermazioni volgari di cui, in genere, si dovrebbe provare vergogna.
L’intero infame processo politico si consolida in stratificazioni successive: il convincimento di essere un predestinato giustifica ogni possibile fallimento; il ricorso alla violenza verbale coglie impreparate e fa breccia nelle colpevoli insicurezze altrui; infine la sistematica svalutazione della vita dell’altro spiana il percorso della scalata sociale. Ulteriore ingrediente necessario, la straordinaria lealtà verso gli amici disposti a macchiarsi di ogni infamità.
Con un grazioso gioco d’ironia, Eric-Emmanuel Schmitt lega gli esiti delle due storie parallele a due trattamenti psicoterapeutici: Adolf H. viene curato da Sigmund Freud; Hitler subisce il condizionamento post-ipnotico del dottor Forster che gli impone “il dovere verso la Germania”. Naturalmente la vita reale non cambia solo per questo: un’interpretazione psicoanalitica o un condizionamento post-ipnotico, ma per una scelta, un desiderio; scelta e desiderio, però, si presentano in istanti piccoli, piccolissimi e mai attraverso fatti epocali. Si cambia di più optando per un gelato al lampone, ad esempio, più che per un giuramento solenne: i solenni giuramenti rappresentano le solite squallide giustificazioni.
Eric-Emmanuel Schmitt è nato a St Foy le Lyon nel 1960. Ha studiato al Conservatorio di Lione e si è poi laureato a l’Ecole Normale Superieure di Parigi. Ha insegnato filosofia e vive a Dublino. È anche autore di teatro e, da uno dei suoi libri “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” è stato tratto un film di successo.
Una piccola appendice autobiografica: circa un anno fa, nel solito grazioso teatrino di Morrovalle, ho assistito ad un incontro con la cittadinanza della lista di centro destra della Provincia di Macerata. Nel solito gioco delle parti, tra moderati, meno moderati, ed ignoranti ha preso la parola un senatore della Repubblica, da poco eletto in una lista di destra, per proporre il suo parere rispetto al problema dell’immigrazione. Ed il suo parere era di non soccorrere le barche in arrivo a Lampedusa ma, piuttosto, sparargli contro.
Me ne andai disgustato, meditando se potesse essere utile procurami un occhio nero.
A distanza di un anno, sui giornali, leggiamo le affermazioni dei nostri governanti, la cui volgarità è imbarazzante e compromettente. Per noi qual’è la parte dell’altro?
Pietro De Santis