The Millionaire

The Millionaire

di Danny Boylethemillionaire

L’India, paese in rapidissima evoluzione, non è immune dalla globalizzazione anzi, di questa fa il motore della propria crescita.
L’intelligenza, lo spirito di sacrificio, persino le differenze economiche del popolo indiano costituiscono elementi di un principio organizzativo sociale, che sa attrarre capitali da tutte le parti del mondo, unitamente al basso costo della mano d’opera (visto che, in genere, lì si sopravvive con poco).
Il contrasto tra gli estremi è un altro elemento forte della cultura indiana: enormi ricchezze e disperanti povertà si affiancano da sempre nella grande penisola affascinante e tanto più misteriosa quanto più si è abituati ad osservare solo l’orizzonte piccolo borghese.
Il film, paradossale, presenta una situazione quotidianamente riversata anche dagli apparecchi televisivi presenti nelle nostre case: “E’ il momento della verità negli studi dello show televisivo ‘‘Chi vuol esser milionario?”. Davanti ad un pubblico sbalordito, e sotto le abbaglianti luci dello studio, il giovane Jamal Malik, che viene dagli slumdogs (letteralmente baracche per cani) di Mumbai (Bombay), affronta l’ultima domanda, quella che potrebbe fargli vincere la somma di 20 milioni di rupie. Il conduttore dello show, Prem Kumar, non ha molta simpatia per questo concorrente venuto dal nulla. Avendo faticosamente risalito la scala sociale, provenendo lui stesso dalla strada, Prem non ama l’idea di dover dividere la ribalta del Milionario con qualcuno come lui, e rifiuta di credere che un ragazzo dei quartieri poveri possa sapere tutte le risposte.
Arrestato perché sospettato di imbrogliare, Jamal viene interrogato dalla polizia. Mentre ripassa le domande una per una, inizia ad emergere la storia straordinaria della sua vita vissuta per le strade, e della ragazza che ama e che ha perduto.” (www.luckyred.it/themillionaire)

Pur essendo risaputo il fatto, che la maggior parte degli spettacoli televisivi propinati nel “bel paese” non sia stata concepita nelle pur sue brillanti strutture – ma provenga da “format globalizzati” uguali in tutto il pianeta e acquistati a carissimo prezzo – tuttavia suscita una certa impressione vedere le stesse identiche immagini trasmesse in India esattamente come in Italia: le stesse scenografie, gli stessi commenti sonori ed, anche, la stessa “simpatica” e “pacioccona” fisionomia del conduttore.
Cambiano solo le facce, ma ancora per poco; ed i vestiti, ma ormai solo per pochissimo.

Governanti e grandi imprenditori ci assicurano che tutto ciò si sia reso necessario e le leggi del mercato lo impongano; che la televisione ed i mezzi di comunicazione di massa rappresentino un’opportunità; che le stesse popolazioni lo desiderino e ne godano i benefici.
Credo – sinceramente – che tutto ciò sia vero oltre che inevitabile: siamo in tanti a vivere su questa terra e si rende necessaria, al di là di ogni avida speculazione, una distribuzione delle risorse con vantaggi anche non equamente distribuiti.
Mi colpisce, però, vedere rappresentate sui volti delle persone – che vivono in ogni diverso angolo della terra – le medesime reazioni e le medesime emozioni, sempre più superficiali e istupidite; gli stessi comportamenti sempre più omologati.
So che questo, per fortuna, risulta vero solo in parte, perché è la rappresentazione del mondo che  viene data dal mezzo televisivo e dai mass media: sono essi che mancano di originalità e di intelligenza. Il conformismo dei mass media, però, si espande come una macchia di unto e contamina tutte le parti in cui riesce ad arrivare.

La conclusione che mi spaventa, più della povertà e della malattia che sono pene tremende nella nostra effimera esistenza, è la visione di un mondo sempre più piccolo ed omologato; è la percezione dell’ignoranza ormai considerata normalità nelle azioni e nel pensiero ed offerta come cibo omogeneizzato con il quale, incoscientemente, alimentiamo noi stessi e le creature più deboli di noi.

Nel perpetuo tentativo di trovare il “buono” in ciò che suscita piacere, ho voluto leggere una simile considerazione nelle intenzioni del film di Boyle e del libro di Arundhati Roy, da cui Simon Beaufoy ha tratto la sceneggiatura. Il giovane Jamal, infatti, si offre al gioco “solo” per essere visto dalla persona di cui è innamorato, nella speranza che ella lo rintracci.
Jamal vince perché non è sedotto dal denaro e la straordinaria serie di risposte esatte è il frutto miracoloso della sua esistenza stessa: tutto ciò che il ragazzo ha imparato nei diciotto anni di vita, gli è rimasto impresso sulla pelle.

Abbiamo trovato straordinari i tre bambini: Ayush Khedekaral (Jamal), Rubina Ali (Latika) e Azharuddin Ismail (Salim); molto bravi i comprimari Anil Kapoor (conduttore televisivo) e Irrfan Khan (ispettore di polizia).
La straordinaria forza del film emerge dalla narrazione della vita infantile ed adolescenziale dei protagonisti, grazie alla scenografia di Mark Digby, alla fotografia di Anthony Dod Mantle, al montaggio di Chris Dickens e alle musiche davvero belle di A.R. Rahman.
Sono molto intensi i volti dei protagonisti Dev Patel (Jamal), Madhur Mittal (Salim) e Freida Pinto (Latika) la cui bellezza sembra prevalere sulla bravura.

pietro de santis

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