Sostiene Pereira

Sostiene Pereira

sostiene pereira  con Paolo Ferrari al Teatro Valle

Come l’asino di Buridano, mi sento incerto tra due desideri: iniziare parlando del testo oppure dell’interprete. La china procede da questo secondo lato. Le mie più antiche “prime” teatrali risalgono agli anni ’60 quando la RAI-Radiotelevisione Italiana dedicava un giorno alla settimana al teatro in TV: Gilberto Govi, Eduardo De Filippo, Tino Buazzelli e tanti altri affollavano quelle serate coinvolgenti e talvolta noiose. Un particolare ricordo è legato all’interesse suscitato da una commedia brillante – non saprei più citare titolo né autore – in cui il protagonista, Paolo Ferrari giovane, bello e scaltro, faceva ricorso alla finzione per ottenere non so più quale prestigio: era il gioco del teatro nel teatro, ovvero il gioco della vita. Avevo molto meno di dieci anni e sono trascorsi, ormai, quasi cinquanta anni.

Per questi ricordi e per la lettura del bel libro di Antonio Tabucchi “Sostiene Pereira” sono andato ad assistere alla versione teatrale di Gianni Guadagli e Teresa Pedroni pieno di nostalgia. D’altronde la nostalgia è, anche, al centro della storia narrata: la nostalgia del protagonista per la gioventù rappresentata dalla moglie defunta, alla cui sorridente fotografia racconta le proprie giornate; la nostalgia dei personaggi per la libertà, in un periodo riconducibile al 1936 e all’avventura salazarista in Portogallo. Il narratore, interpretato da Amandio Pinheiro, dà conto di quanto “sostiene” Pereira, cronista passato alle pagine della cultura per evitare guai, in una specie di diario quotidiano che descrive soprattutto Lisbona e la storia di due giovani innamorati: Monteiro-Rossi (alias Marcello Donati) e Marta (Elena Ferrari) rivoluzionari come tutti gli innamorati. Pereira ritrova, in essi, il piacere del desiderio ed il coraggio di denunciare la violentissima malattia borghese dell’indifferenza.

A dispetto della mia personale nostalgia, debbo dire che lo spettacolo risulta convenzionale ma piace: modeste le scene di Alessandro Chiti, che allestisce due gabbie velate e trasparenti – le gabbie dei ricordi, entro cui i personaggi si muovono al rallentatore – che sono quinte e pareti della scena principale;  di impianto grandiosamente tragico e ripetitive le musiche originali di Adriano Maria Vitali; adatti all’epoca descritta i costumi di Roberto Posse; divertenti i movimenti coreografici al rallentatore di Mariano Brancaccio. La regia di Teresa Pedroni vuole essere evocativa; la sua proposta, minimalista ma efficace, si rende palese nell’idea di alzare il sipario mentre Pereira è seduto spalle al pubblico rivolto verso il fondale, e abbassarlo mentre Pereira è in piedi e cammina verso il pubblico.
Gli interpreti risultano bravi e abbastanza credibili: la compostezza malinconica e rispettosa del testo di Paolo Ferrari; il tocco esotico dagli accenti lusitani di Amandio Pinheiro; la vitalità di Marcello Donati  e Elena Ferrari; la corretta recitazione di Gianluigi Fogacci, Gianluigi Pizzetti, Stefano Scherini.  

Si tratta di un prodotto furbo, che raggiunge il consenso del pubblico pescando nella fama e nella qualità del libro di Tabucchi, e nel sentimento di nostalgia per la gioventù e la libertà.

pietrodesantis

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