Era una notte di luna…

Era una notte di luna…

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È raro vedere due grandi attori protagonisti recitare insieme su di un unico palcoscenico. È accaduto martedì 31 maggio nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Stiamo parlando di Franco Castellano e Maurizio Micheli, riuniti nello spettacolo “Era una notte di luna…”, un percorso nel teatro di Sandro Gindro mise en èspace da Marco Mattolini.

Per quanto gli abbia dato popolarità, il piccolo schermo non rende giustizia a Franco Castellano, che in teatro esibisce una bravura sconvolgente. Egli sa giocare con i mille colori della voce: un tono basso, caldo e avvolgente per raccontare la triste storia di Palinuro (in “Albino Zero”), in modo così intenso e reale da farci immaginare i tempi mitici degli aedi; un piglio vigoroso in “Senza titolo 2”, per esprimere rabbia, invidia o disperazione; una stridula voce acuta che crea un effetto grottesco-esilarante persino in un testo tragico come “L’Odore dell’Inconscio”.

Irresistibile Maurizio Micheli con una verve comica brillante, piena d’ironia che, in un gesto, sa volgere all’amarezza o allo sconcerto. Le sue “Attese”, situazioni di vita comune, sono spunto per risate sincere, comiche immedesimazioni e anche momenti di riflessione profonda e intima sull’assurdità della vita o sulla semplicità dell’amore. In “Cabaret cabaret”, varietà di altri tempi scritto da Gindro per un intrattenimento dissacrante e surreale, non si può non cedere al ritmo comico serrato e perfetto con il quale Micheli conduce tutti gli interpreti, ad iniziare da Gennaro Cannavacciulo, divertente e sensuale nella parte di una Liza Minnelli molto in tono, capace di ballare e cantare con perfetta intonazione.

È forse un po’ meno energico e convincente lo stesso Cannavacciuolo in “Il mio nome è Marilyn”, accanto ad Alberto Di Stasio. Anche da quest’ultimo ci si aspettava una maggiore intensità, raggiunta invece nel racconto di “Albino Zero”, ruolo in cui forse si è sentito più a proprio agio.

L’unica donna sul palcoscenico è Gloria Pomardi: brava coreografa e danzatrice sinuosa, ammiccante e – all’occorrenza- spiritosa, ha svolto un ruolo faticoso nel raccordare con la sua persona e la sua recitazione le sette storie gindriane. Interprete intensa e vibrante, nelle vesti di madre disperata e terribile ne “L’odore dell’inconscio”, poi spenta e ripetitiva, dopo un bell’incipit nervoso e nevrotico, in “Forse Debora”.
La regia di Marco Mattolini è ricca di idee, coerente e capace di svelare il significato dei testi di Gindro, il cui teatro psicologico non è sempre di facile intuizione.
Qualche ombra è da rilevare in tanta luce: innanzi tutto, il superfluo filmato iniziale, incomprensibile ed estraneo alla performance; in secondo luogo, l’eccessiva lunghezza dello spettacolo – circa 2h e 30’ senza intervallo – che ha causato un calo d’attenzione nel pubblico nel testo conclusivo “L’odore dell’inconscio”, opera ultima di Gindro che, per intensità e interesse reggerebbe un intero spettacolo.
Nella bella cornice della sala Sinopoli dell’Auditorium del Parco della Musica i sette testi hanno raccontato di uomini e donne, rivelato passioni, perversioni e paure, senza pudori ma con schietto spirito d’osservazione. I frequenti richiami al mito – ne “Il mio nome è Marilyn”, in cui si ripercorre la storia di Edipo, e in “Albino Zero” con la crudele morte di Palinuro, immigrato e naufrago ante litteram – invitano a riflettere su molti temi di bruciante attualità. Hanno indagato nel fondo dell’inconscio, sostanza nauseabonda in continua evoluzione, insieme agli altri Francesco Pezzella al pianoforte e Massimo Quattrini al sassofono, Valentina Mattolini, aiuto regista, Guido Laudani e Andrea Zingani, autori dei visuals elettronici proiettati sul fondale, e Gina Arcucci responsabile del montaggio RVM.


 
 

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