Philip Glass

Philip Glass

Festival Internazionale delle Ville Tuscolane
Mercoledì 12 luglio  – Villa Aldobrandini

P.Glass 

Philip Glass è una sorta di monumento vivente della musica contemporanea: allievo di Darius Milhaud e di Nadia Boulanger a Parigi, trova il suo vero milieux espressivo in una forma d’arte intermedia tra musica e performance visiva. Fondamentale, nella trasformazione estetica del compositore, è stato l’incontro con la spiritualità orientale – soprattutto tibetana – che lo ha indirizzato verso uno stile compositivo limitato agli elementi minimi, sostanzialmente percussivi, che non disdegnano sonorità tonali.
Ogni viaggio in Italia di un celebrato artista è sicuramente un evento e va dato merito a Francesco Paolo Posa, sindaco di Frascati e organizzatore del Festival delle Ville Tuscolane, di avere organizzato una serata così prestigiosa in un ambiente tanto straordinario: il giardino interno di villa Aldobrandini.

Il programma della serata prevedeva nella prima parte opere per piano solo; nella seconda parte opere per orchestra e per piano ed orchestra: molto schiettamente, va notato come le composizioni di Philip Glass non siano godibili ad un livello squisitamente musicale ma generino forse una migliore suggestione come musica di accompagnamento per film,  balletti e performance di varia natura.
La struttura di tutti i brani eseguiti è similare: una micro cellula melodica estesa su due o tre misure che scompare e riaffiora nei bassi e negli acuti, reiterata ossessivamente con arpeggi tonali alternati a colpi su note basse.

Immaginiamo che il senso ultimo della musica di Glass voglia essere un ritorno agli elementi essenziali allo scopo di ottenere un abbandono psicofisico quasi anestetizzante: l’effetto reale è abbastanza noioso tanto che la mente dell’ascoltatore che scrive, non educata a simili pratiche di rilassamento, dopo avere percepito a sufficienza accordi e micro moduli ripetuti, ha cercato altri significati come, ad esempio, quello della presenza di tanti orchestrali che non debbono suonare mai e l’utilità di uno spartito sul leggio del pianoforte, visto che vengono ripetute sempre le stesse pochissime note. A quest’ultimo quesito ha involontariamente risposto lo stesso Glass che, per l’imperversare di un vento birichino e piacevole, ha semplicemente tolto dal leggio e riposto lo spartito: gli era del tutto inutile.

L’esecuzione non è oggettivamente giudicabile: Philip Glass ha eseguito se stesso in piano ed in forte, leggermente accelerando e leggermente rallentando; l’orchestra ha ripetuto gli stessi moduli in piano ed in forte, leggermente accelerando e leggermente rallentando e, osiamo dire né bene né male, perché non sappiamo affermare cosa potrebbe essere bene e cosa male. D’altronde la musica del compositore americano mira proprio ad un valore minimo, difficile da giudicare: ma c’era il vento, la temperatura era piacevole, il suono degli archi più espressivo del timbro ritmico imposto al pianoforte, la stessa presenza di un personaggio straordinario e discutibile del mondo della cultura e lo splendido panorama verso Roma ne contraddicevano il minimalismo.
treamici

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