Tradimenti

Tradimenti

Chi non ha problemi con il sesso? Sia praticandolo, sia restando casti.

1. Per un po’ ero stato insieme a Marina.

Marina era un po’ fredda, dentro e fuori: sembrava sempre ti facesse il regalo, quando si avvicinava. Le era sconosciuto il significato della parola insieme, che vale almeno per due… Perciò esigeva gran promesse, una forma di indennizzo, per andare a letto. All’inizio credevo fosse colpa dell’ingenuità o dell’inesperienza, ma non era questo: qualsiasi ragazza, non importa l’età, ti salta al collo se c’è sentimento… e poi no, non era ingenua. Anzi! te la voleva far pesare: voleva farti pagare il prezzo della cortesia –  il gran regalo che ti faccio! – che consisteva nel lasciarti immaginare il suo anello d’oro, tempestato di diamanti.

Ma, per lo più, non si andava a letto. Marina un giorno aveva un problema e la volta dopo ne spuntava un altro. C’era, anche, l’occasione del sì, è vero: allora, in quel caso, si stendeva sul letto e rimaneva ferma, ad aspettare la conclusione della cosa. Stavo lì, in realtà piuttosto preso, e lei mi guardava con aria interrogativa per capire quanto ci avrei messo, come avesse qualche impegno urgente. Allora cercavo di durare a lungo – mi mettevo persino a contare confidando di far breccia nei suoi sensi -; studiavo anche un contegno che restituisse significato a ciò che andavo facendo: io alimentavo il fuoco, lei lo spegneva. Chi abbia voglia di ironizzare sulle mie doti, sappia che sbaglia: sono a posto; ho avuto grandi soddisfazioni nel settore, fino a Marina. Anzi, la prima volta anche con Marina.

Quando l’ho conosciuta ero ancora giovane, come si dice, e attraversavo un periodo particolare: avevo perso la voglia di cambiare compagnia ogni giorno, oppure ogni notte; mi volevo calmare un po’. Sembrava la ragazza giusta per stare insieme; ancora la ricordo così. Comunque, il sesso con Marina è diventato mortificante: niente calore; coinvolgimento e passione zero. Fisicamente mi attraeva sempre e questo fa capire quanto il maschio sia stupido… mi faceva persino la morale: il sesso non è poi così importante… piuttosto  l’affetto… la comprensione… eccetera.

Che  il sesso non sia importante non lo crede nessuno e chi lo giura nasconde un problema. Per quale altro motivo avrebbe senso, allora, stare insieme? dicevo io… Ecco, lei adorava che stessi lì: stendeva lo smalto sulle unghie – mani e piedi – si incipriava il viso e parlava di sé; forse era il suo modo di raggiungere l’orgasmo. Io le confessavo che mi attraeva proprio – e qualche volta era davvero simpatica – ma non mi bastava quella routine: il sesso avrebbe equilibrato le cose… però l’equilibrio non ci fu. Il tempo di Marina si concluse quando lei, infine, me lo rinfacciò proprio:  non ce la faccio a stare con uno che ha in testa sempre la stessa cosa. Insomma, a suo dire le toglievo il respiro. Scoppiai a ridere e ci restò male. In sei mesi lo avevamo fatto sei volte in tutto, contro tremilaseicento metri di smalto – piedi e mani – calcolo approssimativo.

2. Poi c’è stata Carla.

Carla era l’opposto: per lei il sesso era prestazione, ma doveva arrivare al culmine di altre prestazioni, quasi un premio. Innanzitutto, ci doveva essere il cinema: un film scelto da lei. Poi la cena, nel ristorantino scelto da lei; lo definiva “il posticino”. La conversazione a cena doveva essere brillante, su di tono, in modo che tutti i maschi presenti la guardassero, scrutassero le tette attraverso la scollatura e la cosce dallo spacco; lei, fingendo il nulla, parlava fissandomi negli occhi. I suoi brillavano di soddisfazione. In fondo, ero un personaggio importante per la sua esibizione: sto in forma, sono sempre ben vestito; insomma, mi faccio guardare. Avete presente l’aiutante bella dell’illusionista? a me gli occhi please. Comunque, il fatto che la guardassi io non era sufficiente per lei: tutti dovevano mangiarla con gli occhi, altrimenti la serata andava storta.

Poi c’era la passeggiata dopo cena, a piedi sotto la luna: camminando lenti, dovevo fissarla lungamente per farle i complimenti. In assenza di luna, la mezz’ora in macchina: musica giusta, scelta da lei. A questo punto, potevo proporle di salire, da me o da lei. L’ovvio non era mai troppo ovvio per Carla, capace di piantare una grana se l’accento poetico perdeva sicurezza.

Solo a questo punto si apriva il capitolo sesso, delicatissimo, perché tutto doveva essere giusto: una virgola fuori posto avrebbe scatenato la tempesta emotiva, aperto una voragine nei sentimenti. Ma se tutto era perfetto, se il copione era stato rispettato, finalmente Carla approdava nel letto; però, se qualche particolare era sfuggito bisognava superare l’ostacolo della malinconia, del senso di incomprensione e di abbandono, di trascuratezza, di solitudine accompagnati dal pianto disperato e dalla richiesta di nuove attenzioni. Talvolta funzionava il primo copione, talvolta il secondo; talvolta (poche, per fortuna!) non funzionava niente.

A letto, iniziavamo a parlare il linguaggio del corpo e Carla si assicurava che tutto fosse a posto, che io fossi al punto giusto: gonfiori, ardori, odori; poi si faceva toccare. Il rapporto doveva durare undici minuti – secondo più, secondo meno – come prescrive un libro famoso, durante i quali restava ad occhi chiusi, quasi senza emettere un sospiro. Poi, con dolcezza, chiedeva di interrompere, per proporre alcune questioni fondamentali, alle quali dovevo rispondere nel modo giusto. Dopo l’interrogatorio, si poteva riprendere e Carla cambiava posizione, per altri undici minuti di rapporto. Poi lo interrompeva definitivamente e  chiedeva di essere masturbata. La cosa le piaceva molto ed era, anche per me, il momento clou della serata, in termini di eccitazione. Ascoltavo con trasporto le sue epressioni affermative e chiedevo qualcosa anch’io, mi sembrava il momento; ma lei ormai era stanca e non se la sentiva di andare avanti. Spiegava che non si può fare sesso a comando. Mi scusavo, andavo in bagno, e dopo cinque minuti prendevo le mie cose, la salutavo teneramente e uscivo se eravamo da lei. Oppure, atteso il suo respiro di bella addormentata, mi mettevo a leggere e a pensare.

Per un po’ le cose andarono avanti: Carla era bella; l’eccitazione c’era; speravo che, prima o poi, il contatto reciproco avrebbe concesso altre possibilità. Invece, dopo qualche mese, esplose la sua rabbia per le mie richieste sessuali che, pare, fossero inaccettabili: mi accusò di  insensibilità, di essere come tutti gli altri che aveva frequentato, perché la trattavo da puttana. Le chiesi scusa e andammo avanti ancora un po’ con la routine. Alla fine, Carla confessò che forse non era innamorata perché, ogni volta che mi lasciava stendere su di lei e chiudeva gli occhi, le veniva in mente il viso di un altro – un certo Luca, mi pare –; però, mi assicurava di volermi bene e stare ancora con me, che ero così paziente… Ecco, quella volta non fui paziente. La storia si interruppe. Carla però, per parecchio tempo, prese a cercarmi; telefonate lunghissime mi comunicavano il suo dispiacere: si sentiva persa… anche perché, quello che avrebbe dovuto prendere il mio posto si era eclissato. Le dicevo di consolarsi: una ragazza come lei avrebbe trovato sicuramente l’uomo giusto, che comunque non ero io.

3. Ci fu Francesca, finalmente.  Una ragazza appassionata. Si dedicava fisicamente, mi faceva contento e sembrava contenta pure lei. Stare insieme era semplice: ristoranti carini, alberghi carini… però era bello pure rimanere in casa o avventurarsi in piccole vacanze culturali. Insomma, un piacere.

Nel vedermi contento, però Francesca si insospettiva, temeva la stessi ingannando. Diventava nervosa, mi rimproverava di pensare poco a lei. Nei momenti in cui eravamo distanti lamentava le poche le telefonate; i pochi messaggi; i regalini, che non erano pochi ma nemmeno troppi. Le capitò – involontariamente a suo dire – di allungare le mani sul mio cellulare e di trovare qualche messaggio affettuoso: un bacio, qualche abbraccio, un paio ci vediamo domani e questioni similmente innocenti che fanno parte del mio stile relazionale e non privilegiano nessuna identità sessuale. Scoppiò il caso; ce ne volle per superarlo! urla da una parte, rassicurazioni dall’altra.

Riprese l’intensità sessuale con un vigore quasi violento, fino al dubbio successivo e alla successiva pacificazione. Solo che i dubbi, nel tempo, diventavano più frequenti e con tutti gli annessi: Francesca perdeva letteralmente la testa e non mi credeva. Fu un peccato, mi piaceva veramente, ma non ne potevo più e dopo l’ultimo incontro sessuale, intenso, seguito dall’ultima telefonata di accuse, intensissima, smisi di chiamarla e di rispondere. Fu l’ultima volta che ebbi rapporti sessuali con una ragazza anzi, per meglio dire, che ebbi una ragazza.

C’è così tanto bisogno del sesso? Secondo me sì. Capisco chi scelga una vita ascetica: che so? una vita di preghiera… ma io provo desiderio, intensamente; non me ne vergogno e non mi sento nemmeno immorale… qualcuno noti la negazione. Oddio, non mi vergogno nemmeno a soddisfarmi da solo, come un adolescente. Cantava Cherubino: “parlo d’amor con me!” Posso farlo sempre, in qualsiasi momento però, poi, mi manca qualcuno con cui parlare, ridere, abbracciare, sentire addosso quello che rende contenti: il benessere da contatto, no? Far da se è diverso: il piacere si lega alla fantasia e si distacca dalle cose reali.

4. Quanto tempo è trascorso dall’ultima valanga sessuale con Francesca? Settimane, mesi… Dopo un anno senza rapporti mi sono preoccupato di essere, forse, malato. Malato per come mi conosco, si intende.

Spesso qualcuna – qualcuno – mi sorride e ne sono consapevole; ma faccio fatica al pensiero di affrontare nuove tensioni, immaginare nuovi corteggiamenti, prestare attenzione ai segnali piccoli dell’apprezzamento o del dispiacere. Sinceramente non me la sento, non ce la faccio a immaginare una nuova relazione. Per questo ho cercato una escort.

Una volta sola, ero stato con una prostituta e non ricordo se prevalesse l’eccitazione o l’imbarazzo; ero poco più che diciottenne. Non ne avevo alcun bisogno pratico, ero già piuttosto apprezzato all’epoca, però mi eccitava l’idea. Fantasie letterarie, racconti di adulti, il pensiero di un milione di cazzi già ospitati nel cofanetto femminile mi spingevano a farlo: li avrei percepiti e confrontati col mio nascostamente, per interposta persona. Un pomeriggio in moto, fuori città vidi questa ragazza carina, magra, poco più grande di me: aveva il viso fresco e la si poteva immaginare in strada per caso. L’approccio fu semplicemente la domanda se avremmo potuto fare qualcosa e quanto mi sarebbe costato; mi fissò, disse sì e aggiunse il prezzo ma, affermò, che la moto non permetteva di far niente. Seguitava a fissarmi negli occhi e riconobbe la delusione – o le cinquantamila –, così propose un angolo erboso dietro ad un cespuglio. Sopra a un montarozzo, come si dice da noi, ebbi la prima e unica esperienza nel settore e nemmeno tanto appagante, pieno di vergogna com’ero, però intrisa di grande emozione.

La escort è diversa dalla prostituta: intanto costa di più, eppoi ti accoglie in casa o viene a casa tua. Inoltre, se si crea un minimo di intesa, ti regala una certa intimità, quasi come se ci voglia stare sul serio. Quella mezz’ora – o un’ora – ti dà il piacere del fare e anche del parlare: soldi spesi bene, mi hanno riferito. Così ho cercato, in un sito web, le immagini e le frasi di rito.

Una ragazza mi è piaciuta: forse lo sguardo, non so… esprimeva una consapevolezza di sé, del proprio corpo; mi sembrava rassicurante: sì. La foto mi aveva suscitato la voglia di fare ed ho telefonato subito per non ripensarci: stesse emozioni, stesso disagio del diciottenne in moto.

Ramona ha risposto per un appuntamento pomeridiano: dalle due alle tre, come Falstaff. Parlava l’italiano correttamente, ma l’accento straniero suggeriva il suono rumeno, quando la lingua si attacca un po’ al palato. Sono andato all’indirizzo, titubante per il luogo, gli sguardi giudicanti, l’emozione della prima volta per uno che non ne aveva mai avuto bisogno. Una piazza, una stradina, un citofono; il famoso cancelletto verde; un giardinetto, un appartamento pulito e spazioso.

Ramona era in vestaglia, trasparente ma coprente: aveva un bel seno, esibito per accendere le fantasie maschili… vabbè, basta dettagli. Comunque, l’eccitazione era avviata e l’imbarazzo scomparso. Prudentemente, ho lasciato l’iniziativa a lei e ho fatto bene; lei me l’ha restituita nel momento adatto… è stato piacevole, abbastanza intenso. Sembrava partecipasse anche lei – e non ci credo perché ho sentito raccontare questa favola troppe volte – ma penso fosse teatro; infatti, se dovesse succedere davvero sarebbe un problema per la escort. Non si tratta tanto di questioni amorose, come fingono i film hollywoodiani, quanto di identità. La perdita d’identità sarebbe un problema, per lei; in fondo la escort è un’infermiera: se l’infermiera soffrisse insieme ad ogni malato, dovrebbe cambiare professione per non impazzire.

Però anche io ho preferito credere che partecipasse; fa piacere pensarsi un po’ speciali. Dopo intensi quarantacinque minuti, ero contento dell’investimento economico. Restavano quindici minuti e mi accingevo a regalarglieli andando via: mi ha chiesto se avessi fretta e sono restato. Voleva sapere perché pagavo una escort. Le ho spiegato le questioni affettive, la difficoltà patologica ad entrare in sintonia con i bisogni femminili e la scelta – più che altro un obbligo morale – di rimanere non accompagnato. Ramona mi ha scrutato l’anima, attraverso gli occhi; ha considerato l’intera figura e poi ha concordato che questa è la condizione migliore per me. Mi ha fatto pensare alla saggezza di Marsia, la mitologica creatura dei boschi. Avrei voluto chiedere qualcosa di lei, ma non si fa.

 

5. L’esperienza era stata piacevole: ne sentivo il bisogno e provavo la giusta soddisfazione; non so se questo sia politicamente corretto. Sembrerà strano, ma nutrivo un gran rispetto per Ramona e per quella disinibizione così naturale. almeno all’apparenza: c’era stato un dialogo alla pari, di gesti corporei e di parole. Nessuno aveva prevaricato nessun altro. Dopo qualche giorno, desideravo provare ancora la consistenza di una simile emozione. Ho immaginato, per un po’, Ramona, ma poi ho distolto il cervello da pensieri affettuosi e inappropriati, per quanto si riesca: ho cercato in un altro sito di appuntamenti.

Una bella ragazza, formosa e sensuale, m’ha preso l’attenzione e l’ho chiamata: Georgina. L’appuntamento era per inizio serata, poi sarei andato a cena con gli amici. Ho riconosciuto la stradina buia, il giardinetto e il portoncino: chissà se la scelta sia caduta su Georgina a causa dell’aspetto fisico oppure a causa dell’indirizzo… Che però, inizialmente, avevo proprio cancellato dalla memoria. Mi era già successo, una volta, a Milano, quando ero innamorato di una tipa e lo negavo: non ricordavo il suo indirizzo. Però avevo in mente il nome di una strada: via Daverio. Ecco, in via Daverio, non c’era il portone d’ingresso, ma quello del parcheggio privato: me ne accorsi passandoci davanti. Così, ome accadde a Milano, mi si schiarì la mente mestre arrivavo lì e mi è sembrato scorretto andarmene.

Georgina era alla porta, socchiusa, e indossava solo slip: si fa per dire. Una ragazza veramente sensuale, capace di suscitare il falso amor proprio dell’attore porno: in lei era tutto professionale, oserei dire scientifico. Così in mezz’ora il cliente è servito: entrare nel ristorante ed essere serviti rapidamente e con premura, può lasciare insiddisfatt? Beh, forse un po’… però mi pregava di andar via, perché diceva di una cena in famiglia: famiglia? perché mai non ci dovrebbe essere…

Così diretto verso la porta ho incrociato Ramona, che aspettava un cliente: mi ha fissato severamente. Giuro di averle visto asciugare una lacrima, mentre sulle sue labbra si formava la parola perché.

Mi sono sentito colpevole di averla tradita; quella lacrima ha chiarito il motivo. Quale? L’uomo, che alcuni giorni prima aveva suonato allo stesso campanello, era diverso da quello di stasera, un cliente come tanti.

Difficile specchiarsi nell’uomo, difficile riconoscere la donna.

 

 

 

 

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