Le Quattro Stagioni di Vivaldi nella chiesa di Antonio Vivaldi

Le Quattro Stagioni di Vivaldi nella chiesa di Antonio Vivaldi

La chiesa, Santa Maria della Pietà (1745-1760), fu costruita su progetto di Giorgio Massari: ospita affreschi di Gianbattista Tiepolo che ne decorano l’ingresso (La Fortezza e la Pace), il soffitto della navata (Incoronazione di Maria Immacolata) e quello del presbiterio (Le tre Virtù Teologali) oltre alla pala d’altare di Giovanni Battista Piazzetta (Visitazione di Maria ad Elisabetta). La chiesa è a fianco dell’antico orfanotrofio, situato in Calle della Pietà, ma si apre davanti alla laguna in Riva degli Schiavoni: all’esterno della chiesa è affissa una lapide (1548) che minaccia maledizioni e scomuniche contro coloro che abbandonino i propri figli avendo i mezzi per mantenerli. Dal 1978, terzo centenario della nascita di Antonio Vivaldi, la Chiesa della Pietà è stata riaperta ai concerti, dopo un lungo periodo di silenzio: nel rispetto del luogo sacro, i complessi musicali dedicano programmi a Vivaldi e ai musicisti barocchi veneziani ed europei.

La sera del 19 novembre (2017) i Virtuosi Italiani – Orchestra Residente dal 2011 –, con Antonio Aiello violino solista (esperto in prassi esecutiva della musica barocca su strumenti originali, nonché fondatore, primo violino e concertatore del gruppo filologico dei Sonatori Fiorentini), hanno dedicato ai soliti turisti un programma che comprendeva il Divertimento in Re Maggiore K136 di Mozart sedicenne (1772), il Concerto in Do Maggiore Hob. Vlla:1 di Haydn (1761) e, finalmente, Le Quattro Stagioni (1723).

Antonio Vivaldi è un compositore sospeso tra passato e futuro: straordinariamente innovativo nei temi musicali, per lo più affidati al violino, e rigidamente ancorato ad alcune modalità barocche nella struttura d’insieme, come la ripetizione quasi ossessiva del ritornello o l’alternanza degli effetti di chiaroscuro forte – piano. Alcuni temi vivaldiani, una volta ascoltati, rimangono appiccicati e si perpetuano nella testa autonomamente: hanno evidenti risonanze con i contenuti dell’inconscio e l’idea (nostra) del bello in musica. In particolare, per me, quest’effetto scaturisce  dal tema (Largo) del secondo movimento dell’Inverno, la cui limpida trasparenza lo assimila ai grandi motivi bachiani o mozartiani: do sol-fa mi re-do re sol, sol fa-mi-re-do si fa fa re… ma, similmente, rimane impresso il ritornare ostinato di un piccolissimo motivo, nel primo movimento della stessa composizione, costituito da una nota ribattuta undici volte (con differenti durate) e quattro ripetizioni di un intervallo di quarta discendente (a partire dal tono superiore alla nota ribattuta di prima): fa quasi arrabbiare, che una struttura così semplice abbia una tale potenza ma, leggendo le indicazioni dell’autore (che sono una specie di commento sensoriale) ci si accorge di trovarsela dentro, nella propria costituzione psicosomatica.

Recandoci al concerto non ci aspettavamo un granché perché a Venezia, ogni sera, ci sono almeno tre proposte di concerti vivaldiani, in cui spiccano le esecuzioni delle Quattro Stagioni: alcune in costume, altre danzate; che i turisti immaginano trasmettere l’atmosfera settecentesca, così come i figuranti vestiti da gladiatori, davanti al Colosseo, farebbero rivivere i fasti di Roma Imperiale. Però è stata una piacevole sorpresa vedere i musicisti vestiti da musicisti, suonare in piedi – come avveniva nel seicento a parte il violoncello, che ne è fisicamente impossibilitato – esprimendo notevole precisione ed affiatamento che, certo, scaturiscono dalla riproposizione dello stesso brano, almeno tre volte a settimana; ma dalle continue ripetizioni possono derivare anche pigrizia e sciatteria… abbiamo invece apprezzato l’ottima musicalità, la scioltezza degli esecutori insieme in una dignitosissima interpretazione del programma, soprattutto in Vivaldi.

Il pubblico ha gradito ed ha risposto con grande entusiasmo all’esecuzione – che potremmo definire un bel disco – persino con una standing ovation principalmente rivolta al solista, che ha ripagato i suoi estimatori eseguendo un bis di virtuosismo efficace (di cui, purtroppo, non ricordiamo né titolo né compositore).

Io, sempre venale, seduto in seconda fila, calcolavo il valore dei musicisti in base al possibile compenso: il costo del biglietto, moltiplicato per il numero degli spettatori, detratta una percentuale per l’impegno dell’organizzazione, diviso per il numero di musicisti, ma certo qualche euro in più al solista… con un pubblico di una cinquantina di persone un compenso dignitoso per giovani musicisti. Voltatomi per valutare la consistenza del pubblico, ho avuto la sorpresa di scoprire un inaspettato (per me) tutto esaurito.

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