Freedom Quartet Sax

Freedom Quartet Sax

Astor Piazzolla

Venerdì 28 dicembre si è aperta la stagione 2014 del Teatro Comunale di Morrovalle con il primo appuntamento della nuova Rassegna Musicale che ha portato sul palcoscenico la compagine, indicata nel titolo, composta di quattro musicisti “mossi dall’amicizia e dalla passione per il sassofono” (nota tratta dalla brochure).

La loro performance si basa su di un programma misto che ripercorre, come in una lezione teorico pratica di storia della musica, “la vita e le opere” del sassofono e le composizioni ad esso dedicate.

Il conduttore – Raffaele Cimica, sax baritono – con un’aria finto ingenua (ma probabilmente accentuata dall’essere febbricitante, così mi è parso) presenta in modo ironico la successione dei brani in programma, illustrati con brevi commenti la cui funzione era tanto esplicativa quanto captatrice “benevolentiae”. Alcune proposte sono il frutto di trascrizioni celebri, ed inserite nella tradizione classica; altre invece sono il risultato del lavoro compositivo di Diego Marani – sax soprano e probabile colonna portante della formazione in quanto a competenze teoriche –:  purtroppo, poiché il programma è solo annunciato e non stampato, scripta non volant et verba non manent…

Insomma ricostruendo a memoria il programma, non riesco a ricordare titoli ed autori dei brani a me meno famigliari a partire già dal primo: controllando – senza troppa voglia, bisogna ammettere – prima su Internet e poi sull’Enciclopedia della Musica Garzanti e poi sul DEUMM, sono rimasto con mille incertezze. Ne faccio carico al quartetto.

Comunque, della successione relativa alla prima parte del programma, riesco a ricordare: la trascrizione dell’Aria sulla quarta corda di Bach (Secondo Movimento della Terza Suite, conosciuto con il nome di Aria sulla quarta corda dalla trasposizione di August Wilhelmj, che portò la composizione da Re maggiore a Do maggiore e l’abbassò di un’ottava, in modo da poterla suonare tutta sulla quarta corda del violino); la trascrizione del primo movimento di Eine Kleine Nachtmusik, un Ragtime ed un brano sudamericano (un tango oppure una milonga o lo sa il cielo) e me ne mancano due, visto che ne avevo contati sette.

Della seconda parte, ricordo una successione di brani non elencabile: due di Duke Ellington o  accoliti; un paio di Piazzolla ed altri sparsi ed annegati nell’oblio delle 23 e15 di una serata post natalizia.

Il concerto è senz’altro godibile e i quattro musicisti mi sembrano di ottimo livello: mi ha interessato in particolare il sax contralto, Letizia Illuminati, per l’atteggiamento composto e professionale e per la qualità del suono che, sebbene po’ controllato, è pulito, intonato e coerente con il brano proposto. Gli altri tre componenti adottano, ciascuno a suo modo, un atteggiamento narcisistico-esibizionista: di Raffaele Cimica ho già detto; del sax soprano Diego Marani ho colto un compiacimento, misto ad imbarazzo, da primo della classe; il sax tenore, Massimo Diamanti, propone una notevole fisicità con cui si abbandona al suono, in ancheggiamenti ed ondeggiamenti.

Prima di aggiungere qualche altro elemento di carattere musicale, vorrei commentare un aspetto che mi è parso evidente: il duplice timore di non essere apprezzati.

Il timore di “eccesso culturale”, di fronte ad un pubblico pagante non esperto, spinge il conduttore a spiegare le scelte musicali, soprattutto nella prima parte del concerto, con un’ironia che ha il sapore di giustificazione e ad un atteggiamento didattico leggermente ambivalente (dico o non dico?); ma, forse, induce anche all’omissione di un programma di sala scritto, che rischia di allontanare il potenziale “cliente”. Il timore di “difetto culturale”, dinanzi all’eventuale spettatore esperto, spinge il Freedom Quartet a mantenere in programma alcuni brani classici, molto noti ma poco adatti al suono del sax, per attestare le credenziali di una base musicale solida.

In effetti la cultura musicale classica traspare sia nelle scelte di repertorio, di cui sopra, sia nelle modalità compositive ed esecutive, e rappresenta tanto una proposta artistica quanto un’esigenza mentale che caratterizza il quartetto e gli conferisce una più forte identità all’interno di un panorama musicale ampio, più o meno valido, e caotico. Tuttavia se la proposta artistica possiede una dignità da coltivare, il timore di dispiacere non è garante di una identità forte. In altre parole penso che Freedom Quartet dovrebbe essere un po’ più spregiudicato.

La prima parte del programma risulta noiosa per entrambi gli ipotetici pubblici perché il timbro dei sax non si addice a brani pensati per quartetto d’archi. La seconda parte – composta da tutti gli altri brani proposti – è invece divertente e persino trascinante, suscita il piacere di cantare e di muoversi.

Qualche ulteriore nota: alcuni arrangiamenti sono troppo “forzati” nell’intento di riproporre quasi alla lettera le partiture originali e, accade, che le parti di accompagnamento prevalgano in sonorità sulle parti tematiche. Prendo ad esempio l’ultimo bis – il brano famosissimo di Astor Piazzolla “Libertango” ricordato da Raffaele Cimica anche come “la pubblicità di Vecchia Romagna” – nel quale, per riprodurre fedelmente l’accompagnamento del bandoleon, il sax tenore ed il sax baritono muoiono sfiatati nell’impresa di suonare alternativamente le crome; oltretutto, non controllando adeguatamente il fiato per motivi fisiologici, suonano troppo forte: l’effetto, per quanto godibile, penalizza la resa della nostalgica composizione.

L’iniziativa della compagnia delle rane è bella ed il quartetto è stato lungamente applaudito: condividiamo il commento finale di Raffaele Cimica che ha ringraziato gli spettatori per avere assistito ad un concerto, anche piuttosto lungo e culturalmente articolato, invece di addormentarsi davanti alla TV.

Pietro De Santis

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