Italian Beauty di e con Leonardo Manera
Lo spettacolo che ha inaugurato la stagione di prosa del Teatro Comunale di Morrovalle era interpretato da uno di quei personaggi, la cui discreta notorietà deriva dalle apparizioni in un programma televisivo: un contenitore di sketch, il cui titolo è preso in prestito dal nome di un locale milanese di cabaret.
Vuoi per il piacere che ci ha sempre suscitato il cabaret, vuoi per la simpatia verso alcuni personaggi di quel programma televisivo, prima dello spettacolo ci domandavamo cosa avremmo pensato di Leonardo Manera, potendolo apprezzare dal vivo per un tempo superiore ai tre, quattro minuti.
Ci era tornata in mente una conversazione avuta con Mario Scaccia, durante un viaggio in automobile fatto insieme da Roma a Benevento: in quel periodo – si parla di venti anni fa – ci occupavamo di musica e teatro in maniera (quasi) professionale. Avevamo invitato il grande artista a partecipare ad un nostro convegno sul tema dei giovani e la cultura, organizzato nella bella città famosa per la storia romana, per l’educazione alle buone maniere e per i premi letterari.
Mario Scaccia, per insegnarci qualcosa sul teatro, citò una frase di Eduardo De Filippo: “La gente di teatro si divide in quattro categorie. La prima è quella degli artisti, individui che dedicano l’intera vita all’arte; la seconda è quella degli attori, bravi professionisti che, scesi dal palcoscenico, coltivano una vita normale; la terza è quella dei comici che sono cresciuti respirando l’aria del palcoscenico e, anche se dotati di poco talento, hanno una buona pratica; la quarta è quella delle facce toste.”
Riflettendo sulla spiegazione cristallina, ci domandavamo se avremmo collocato Manera tra i comici o tra le facce toste.
Descrivere il mondo, rappresentandolo attraverso categorie, appartiene all’arte della comicità, ma è un piacere che viene di lontano: Aristotele ne acquisì merito imperituro avendo definito, per iscritto, il metodo di classificazione e da allora (e per sempre!) questo metodo ha preso il nome di Logica Aristotelica.
Poiché gli emuli sono sempre peggiori del maestro, suggerisco a quanti ne abbiano voglia di sfruttare questo periodo natalizio attingendo alla fonte aristotelica per leggere, ad esempio, Etica Nicomachea.
Tra gli emuli, anche Leonardo Manera si è esercitato nel piacere della classificazione proponendo sul palcoscenico quattro personaggi in questo spettacolo dedicato ai “mostri” italiani: il medico di pronto soccorso; l’organizzatore di una festa dell’unità; il manager profeta della produttività; il professore di scuola media.
Si trattava comunque di un espediente per bagnare la punta del piede in una satira sui problemi economici, sul malcostume che ne consegue e sul gossip della politica, con la finalità di provocare un facile riso: si ride volentieri dell’Altro quando esso è caratterizzato in modo grottesco, a sufficienza per non riconoscervisi.
Il “pre-testo” dello spettacolo è dichiarato da una voce fuori campo al momento dell’apertura del sipario: la vita è come un pranzo al ristorante: l’antipasto è l’infanzia piena di aspettative; il primo piatto è la giovinezza gustosa; la pietanza è la maturità, più ricca di sapori e più elaborata; il dolce è la vecchiaia che può essere ancora gustosa oppure stucchevole e traballante.
In realtà credo di avere riportato quello sproloquio insignificante in maniera più coerente rispetto all’originale, in omaggio al filosofo cui mi sono richiamato.
Il problema della comicità è dato dalla continua esigenza dell’applauso: esso non solamente rincuora il protagonista (che non riesco a definire attore) ma consola la sua logica, claudicante nell’erculeo sforzo di proporre collegamenti raffazzonati tra una battuta e l’altra. Così accade di assistere a momenti di silenziosa attesa di una risata, durante i quali l’imbarazzo viene fortunatamente interrotto dall’incoraggiamento di qualche spettatore di buona volontà che sghignazza di colpo: in alternativa non resterebbe che il lancio degli ortaggi.
I racconti che hanno fatto da legame tra le “quattro portate” – presentate da un cameriere illusionista di bella presenza, Walter Maffei, ma soprattutto di buona dizione – sono lunghi sproloqui indirizzati verso due argomenti – i fallimenti sessuali con una ex (c’è sempre una ex…) ed i problemi di digestione ed evacuazione – che inducono facilmente al riso.
Attraverso di essi e secondo la psicoanalisi gindriana, Leonardo Manera dimostra una personalità oro-anale: ha l’esigenza di riempire costantemente un vuoto ma, ogni volta che lo fa, il contenitore si ribella ed espelle il contenuto di cibo, parole, sentimenti…
Un altro problema sembra derivargli dal timore del disfacimento fisico (e psichico) a causa della vecchiaia e dell’eccessivo consumo di “cannabis” avvenuto probabilmente in età adolescenziale; lo estrinseca più volte in Italian Beauty” proponendo il piccolissimo cliché ell’anziano invidioso, che osserva di traverso e pronuncia sempre la stessa frase di accusa ai giovani: ” Sono drogati”, soprattutto a quelli che si baciano.
Almeno tre dei quattro caratteri presentati in “Italian Beauty” ci sono sembrati scopiazzati: il medico di pronto soccorso ed il professore di scuola media erano brutte copie di personaggi di Verdone; il manager era una brutta copia di un politico alla Albanese. Gli lasciamo “l’originalità” dell’organizzatore emiliano di feste dell’unità con relativa “caccia allo strutto”.
Comunque in tutto il testo, il cui qualunquismo ci sembra desunto da un temino di terza liceo, trasuda il senso cosmico dell’angoscia di castrazione: la satira non graffia ed il desiderio di stupire non si cimenta oltre la ricerca del sollievo da un mal di pancia.
La scenografia era inconsistente e così la regia di Marco Rampolli la cui idea, ci è sembrato di capire, volesse avere un taglio surrealista.
P.S. Il mattino seguente, al risveglio ho acceso la tivù per seguire un notiziario: in onda, la trasmissione del sabato mattina proponeva un discorso di approfondimento (di cosa non mi è stato possibile capire). Una presentatrice “coscia lunga”, particolarmente sguaiata, interrompeva in continuazione i suoi ospiti che erano:
un prete “impegnato” abbigliato alla maniera giusta – barba lunga, spettinato, indumenti “prete-operaio” – il quale ha iniziato un discorso esattamente dalla metà (non si capiva il soggetto) e l’ha interrotto ai due terzi (non si capiva dove andasse a parare);
una mamma “bella presenza”, che protendeva ansiosamente il busto in avanti, preoccupata per l’adolescenza della figlia la quale, in questo momento, ha undici mesi (!);
uno psicologo che annuiva ad ogni stupidaggine sparata da chiunque.
Abbiamo concluso che, anche in quanto a mostri, la realtà della nostra bella Italia supera di gran lunga la fantasia.
(pietro de santis)