Il seme della discordia

Il seme della discordia

di Pappi Corsicato
con Caterina Murino e Alessandro Gassman

 

Il seme della discordia è inteso come liquido seminale.
Veronica (Caterina Murino) è pressata dalle richieste della madre (Valeria Fabrizi) che la spinge alla maternità. Le giornate si susseguono sempre uguali e, forse per noia, insieme al marito Mario (Alessandro Gassman) che soffre di eiaculazione precoce, quotidianamente e svogliatamente prova a rimanere incinta senza successo.
In un mondo macinato dall’ovvietà, il cui imperativo è: “farcela da soli”, anche un’aggressione a scopo di rapina viene digerita rapidamente, visto che si conclude senza danni grazie all’intervento di una guardia giurata. 


Ostinatamente “cuore di mamma” suggerisce a Veronica di verificare la fertilità propria e del marito onde provvedere, nel caso, ad un’inseminazione artificiale (seme della discordia anche questo): per noia ella l’accontenta. Ovviamente, essendo una ragazza che scoppia di salute in tutti i sensi, non manifesta alcun problema riproduttivo.
Anche Mario si sottopone alla prova, controvoglia, in un’asettica e rilucente cattedrale della nuova religione tecnologica (che va sostituendo sempre più, nelle velleità creative e distruttive, qualsiasi altra religione precedente e, sempre più sfacciatamente, per interessi economici).
In un pomeriggio di sole i due giovani coniugi, complice il destino o Eros primigenio, vengono travolti da una passione improvvisa e ‘cadono’ in un prato, come Saulo sulla via di Damasco.
Notti dopo – attraverso un sogno – Veronica inizia a percepire la propria gravidanza.
Tutto sembra procedere per il meglio, se non che i risultati del test di fertilità attestano che Mario è sterile: la ragazza è stata sempre fedele al marito e non riesce a venire a capo dell’arcano, visto che la nuova religione tecnologica è più dogmatica delle vecchie religioni spirituali. Il piacere di divenire madre frana vorticosamente verso il dramma.

Veronica viene abbandonata e, mentre Mario cerca in tutti i modi di confondere i concetti di virilità e fertilità con l’aiuto delle numerose amanti, dopo una spasmodica caccia all’uomo non potendo  individuare il suo stupratore decide di abortire in quell’asettica e rilucente cattedrale, in cui non si pone troppa differenza tra il dare la vita ed il dare la morte. Lo stesso giorno torna il marito, pentito, che vuole ricomporre la coppia: Veronica non ha avuto il coraggio di abortire e il pubblico ha già compreso da tempo l’identità di chi ha deposto il seme della discordia.

Si tratta di un film breve, leggero, che rievoca le atmosfere degli anni cinquanta/sessanta e la scuola di Giuseppe Patroni Griffi; è girato con una discreta dose di ironia, parafrasando la novella della “Marchesa von O” di Heinrich von Kleist in cui si narra l’incredibile storia di una donna che pubblica a pagamento un inserto sui giornali, per ottenere informazioni sull’identità del suo stupratore, padre del bimbo che porta in grembo.
Il grande autore tedesco aveva insistito molto sugli opposti consapevolezza/inconsapevolezza, lasciando intendere al lettore come la protagonista avesse qualche cosa intuito, sul possibile amante furtivo, pur se caduta in uno stato crepuscolare. Corsicato ironizza invece sull’inutile idea della paternità: in effetti l’unica persona che ha valore è la madre mentre il padre può benissimo non esserci: lo dichiara apertamente mediante un “siparietto” in cui il padre di Veronica si reca dalla figlia solo per chiedere denaro.
L’affermazione implicita è che il maschio abbia a disposizione unicamente i ruoli di figlio e amante.
“Oggi la nostra mitologia è squallida, il maschio si scontra con l’impossibilità di essere se stesso e si riduce a parodia di uomo.” (Sandro Gindro, Il maschio impossibile in L’oro della psicoanalisi, 1993). La mitologia presentata da Corsicato è squallida: ragazze che ambiscono a fare le veline, ragazzi che ambiscono avere rapporti sessuali con bambole procaci in una parodia della realtà che trascura emozioni, timidezze, paure e un mondo pieno di fantasmi interiori, rigorosamente evitati dal regista. In effetti i personaggi sono descritti in due dimensioni (alcuni anche meno…) e, tra gli attori, per bravura spicca solo Alessandro Gassman, ché ci ha “messo del suo” a dispetto delle scelte registiche di stampo caricaturale.
Bisogna comunque riconoscere come l’ennesima esaltazione della fisicità femminile lasci intravvedere anche la solitudine in cui spinge la donna a perdersi.
La colonna sonora e la fotografia non ci sono piaciute.
pietro de santis
 
 

I commenti sono chiusi