L’eleganza del riccio

L’eleganza del riccio

  di Muriel Barbery
edizioni e/o

“Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Invece all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno. Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre….
… si incontrano solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée…”(
tratto dalla presentazione in quarta di copertina)

Si tratta di un romanzo ben scritto, a tratti appassionante, che lascia intravedere attraverso la buona cultura dell’autrice alcune pecche più o meno dissimulate, oltre ad una tendenza all’anoressia camuffata da buon gusto alimentare.
1. Cripto-femminismo mascherato da critica alla società borghese.
Protagonisti del romanzo sono due donne ed un uomo. Le due donne rappresentano la negazione della sessualità: Renée brutta secondo tutti i parametri del ceto sociale; Paloma, bellissima bambina, di una ricchissima famiglia; entrambe lontane dal sesso e dal desiderio di qualsiasi rapporto.
Il panorama che circonda le due donne non contempla alcun uomo dotato di intelligenza o sentimenti positivi; se è pur vero che le altre donne vengano descritte con poca carità umana tuttavia, in un modo o nell’altro, l’autrice lascia trasparire in esse un briciolo di sentimento o di intelligenza; per gli uomini tabula rasa.
L’unico a venire esaltato per le sue qualità è il signor Ozu che immagino, in questo libro degli opposti, un informe grassone giapponese con annesso segretario omosessuale, descritto un’unica dimensione come un cartone manga.
2. Retorica.
Il contenuto del romanzo è incentrato sulla consegna del testimone culturale e della voglia di vivere ed imparare da Renée e Paloma: poiché le due protagoniste risultano sostanzialmente irraggiungibili e incapaci di comunicare, l’entrata in campo del giapponese ha la funzione del deus ex machina. Amano entrambe, infatti, la cultura giapponese. Per di più il signor Ozu, incredibilmente colto senza spiegazioni (perché ricco? No, perché orientale), come un Diogene invertito che cerca “la donna” inevitabilmente si interessa della bambina (pedofilo? No, antiborghese); inevitabilmente si innamora di Renée (psicotico delirante? No, conoscitore del genio autodidatta).
Avuto cura di sottolineare la presenza retorica di un giapponese a Parigi, aggiungo invece come risulti delicatamente poetico, e verosimile, il passaggio di consegne culturali tra le due donne: finalmente “consierge” affettuosa la prima e finalmente “enfante” bisognosa d’affetto la seconda.
3. Illuminismo retro.
In un punto del romanzo la bimba Paloma si trova a duellare – trionfando – contro il rappresentante ufficiale del mondo borghese: lo psicoterapeuta. Per bocca della bambina, l’autrice non manca di lanciare strali contro la psicoanalisi che è ormai solo l’ennesimo autoinganno dei ricchi in un mondo fatto di recite – nell’oblio di avere descritto il suo condominio proprio come un teatro –, lasciando immaginare che per stare bene siano sufficienti intelligenza e cultura e che per illuminare ogni fenomeno sia sufficiente una spiegazione appropriata.
4. Inganno delle cultura.
La bimba Paloma ha scoperto la potenza persuasiva delle parole: pronunciare la parola adatta – cioè la parola sconvolgente – mette tutti dalla tua parte o contro di te; la consierge Renée ha scoperto invece la potenza creatrice delle parole in grado di proiettare un mondo di bellezza anche dentro l’antro grigio della portineria.
La cultura però non è fatta di parole ma di relazioni: la lunga elucubrazione di Muriel-Renée sulla fenomenologia di Husserl ne è un esempio paradossale in quanto il romanzo stesso è una costruzione fenomenologica.
La splendida frase di Giovanni Paolo II “non abbiate paura” rivolta ai giovani cattolici dovrebbe essere scritta sul tempio di Apollo a Delfi, insieme a quelle dei sette saggi, perché la sua applicazione è universale: non avere paura dei sentimenti e non difendersi da essi dissezionandoli su di un tavolo anatomico.

La brava Muriel Berbery è nata a Bayeux ed ha scritto questo bel libro all’età di 37 anni. È docente di filosofia ed insegna all’università di Saint-Lô. Il libro ha vinto meritatamente numerosi premi.

pietro de santis

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