Tutti i santi giorni

Tutti i santi giorni

di Michele Serra
con Zuzzurro

Il sipario si apre su di un ambiente indefinibile: quattro pareti sono simbolicamente rappresentate da quinte triangolari dipinte di bianco. Su due di esse, fogli rossi appiccicati con il nastro bi-adesivo recano nomi e parole scritti al pennarello: spiccano Berlusconi e Dio.
Il protagonista, riconoscibile comico televisivo, è in pantaloni scuri, bel maglione scuro e scarpine da passeggio Nike alla moda.


Parla con qualcuno: un amico per il quale sta registrando il proprio discorso di commiato, periodicamente interrotto dall’intervento di uno speaker televisivo. Prepara anche un caffè con una macchinetta moka ed un fornelletto elettrico.
Tutto il suo discorso è centrato sulla stupidità umana, sulla tendenza al raggiro di politici e pubblicitari e sulla volontà – di chi ha potere – di rendere stupidi tutti affinché cedano alle lusinghe e votino un candidato o comperino un prodotto.

Il veicolo capace di trasportare tanta stupidità in ogni appartamento è la televisione, alla quale ciclicamente il protagonista si rivolge. Confessa di essere stato il killer delle persone stupide: camerieri, commesse di negozi, chiunque avesse risposto in maniera banale era caduto sotto i suoi colpi di pistola. Trascorsi venti anni in carcere ora sta per andarsene.
Dopo aver preparato il caffè che non beve, mette insieme una borsa da viaggio e si allontana estraendo una pistola: il sipario si chiude sul colpo d’arma da fuoco.
A luci spente l’attore si finge di incontrare San Pietro al quale chiede la strada per arrivare in paradiso: “È sufficiente spingere una porticina” finge di ripetere.
Il sipario si riapre sulla stessa scenografia; i foglietti di carta rossa sono tornati tutti al proprio posto e dalla televisione si ascolta la notizia desolante che annuncia un “pork day” – blasfemo nella definizione e imbecille nei fatti – organizzato da un certo Calderoli che, pare, sia stato un ministro nel nostro tragicomico paese: l’identica notizia data all’inizio. Si tratta di un dejà vu?

Sullo spettacolo si possono fare alcuni commenti: un eccesso inutile di realismo, dato dal caffè preparato per davvero e dal fortissimo colpo di pistola, i cui odori si sono diffusi nella piccola sala del Teatro di Morrovalle; un soliloquio sovente senza ritmo; la monotonia accentuata da gesti troppo ripetuti come prendere e posare venticinque volte il barattolo del caffé.
Il testo – genericamente simpatico con alcuni spunti divertenti che l’ottimo e volenteroso pubblico ha saputo cogliere con qualche risata – si adagia su di un equivoco: la realtà è proprio quella che ci appare. L’autore, alla maniera del re Sardanapalo, ha cercato di soddisfare tutti e cinque i sensi, “come un bue” avrebbe commentato Aristotele, ma non soddisfa la ragione visto che pone l’ignoranza allo stesso livello della sapienza.
La commessa di un negozio di cui si parla è stupida anche perché ignorante; il “presunto” ministro non è stupido anche perché imbroglione; lo speaker della TV è stupido anche perché compiacente; l’autore del testo è presuntuoso se si colloca dalla parte della ragione senza spiegare il perché.

p.desantis

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