Siamo italiani! anzi no, siamo noi!

Siamo italiani! anzi no, siamo noi!

Roma, due maggio, sabato

Siamo ad un passo dalla cosiddetta riapertura e gli atteggiamenti dei più si dividono tra l’esaltazione e il timore.

Ritenendo entrambi preoccupanti comincio però fornendo esempi di esaltazione, che a me paiono tanto perniciosi perché s’infilano nei meandri più demenziali dell’animo umano.

Già in mattinata mi aveva sconcertato un video su Venezia – per altro bellissimo – il cui messaggio di speranza finale veniva lasciato a una signora: la bellissima città, vuota e piegata dall’assenza di turisti, si riprenderà perché i suoi abitanti sono veneziani (!) e soprattutto veneti (!). Questa seconda affermazione lascia per altro trapelare una nascita fuori laguna. Traducendo in altre parole: vinciamo di sicuro perché siamo forti; siamo forti di sicuro perché vinciamo…  non c’è bisogno di certificato di nascita né di intelligenza per capire il non senso (e il senso di frustrazione).

Ma questo discorso mi ha riportato alla mente le immagini dei balconi e delle finestre da cui si affacciano i soliti arcobaleni con la scritta “andrà tutto bene” alla quale bisognerebbe aggiungere un amaro “ma non per tutti” alla luce dei dati epidemiologici che martellano le nostre teste da sessanta giorni. In alternativa agli arcobaleni – o in loro compagnia –, sventolano le solite bandiere tricolori che piuttosto di ribadire la nazionalità, insignificante dal punto di vista virale, sembrerebbero attestare la promessa dei caroselli di auto e dei bagni nelle fontane.

Questo si accompagna all’ultimo discorso ascoltato, stasera da terrazzo a terrazzo, in merito ad un elenco di appuntamenti che un giovane adulto – trotterellante – prendeva a partire dalla giornata del prossimo lunedì per tenersi impegnato tutte le sere a venire.

Nel versante del timore invece si colloca una telefonata esemplarmente angosciosa di un’amica, che vede virus annidati ovunque e teme per la sua salute a partire dal prossimo lunedì quattro maggio, essendo uscita tranquillamente e con ogni pretesto nei sessanta giorni precedenti.

Segno fondamentale della prossima riapertura è la ripresa delle ostilità politiche.

Da noi si cerca lo scontro interno per misurare le reciproche virili lunghezze dei consensi. In Gran Bretagna, invece, si cerca lo scontro con l’Europa per far scordare ai sudditi di Sua Maestà le disgrazie, vere e sempre più dolorose.

Negli Stati Uniti c’è un tipo che annaspa in balia dei suoi stessi discorsi, cercando di incuriosire l’opinione pubblica con notizie dalla Corea del Nord e obbligando i virologi di stato a comunicare la favolosa scoperta dell’elisir di lunga vita, probabilmente lo stesso di cui parlò Gaetano Donizetti già nel 1832 con un certo Dulcamara.

Mentre l’Oms cerca di attirare l’attenzione universale verso l’Africa e le drammatiche conseguenze del contagio in quel continente, ho potuto ascoltare – mortificato e con grande imbarazzo personale – un commento dei chiamati in causa, cioè degli Africani, in merito al grande rischio che stanno correndo: non ne sono affatto preoccupati; muoiono molto più di fame. Si potrebbe chiudere qui, senza altre parole.

Però un commento mi sembra d’obbligo: la pandemia è questione da ricchi; forse basterebbe fare un giro di notte intorno alla Basilica di San Pietro per saperlo.

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