Le baruffe chiozzotte

Le baruffe chiozzotte

Al tempo della televisione educativa e culturale degli anni ’60, mi innamorai di Goldoni: amore sempre ribadito, nel teatro e nelle tracce biografiche e culturali presenti nella storia della letteratura e a Venezia. In particolare amavo Le baruffe chiozzotte, di cui non capivo quasi nulla, e Le smanie per la villeggiatura: le “Baruffe” mi lasciavano un’irritazione insanabile per la finta ingenuità femminile (o l’inguaribile inconsapevolezza maschile); le “Smanie” mi istillavano un senso di disagio ed una malinconia struggente e perduta.

È stata una sorpresa piacevolissima, passando dinanzi al Teatro Goldoni, appena arrivati a Venezia leggere in cartellone proprio Le baruffe chiozzotte che, ogni volta riservano una sorpresa nuova, se i registi che la propongono sono all’altezza: si tratta, infatti, di un’opera corale, nella quale non spicca nessun protagonista, ma ogni personaggio esprime un carattere preciso; nemmeno la trama è particolarmente articolata: l’autore getta lo sguardo verso un ambiente sociale, per il quale ha provato un affetto intenso, misto a nostalgia. Le baruffe chiozzotte (gennaio 1762) è stato il penultimo lavoro scritto da Goldoni prima della partenza (definitiva) da Venezia; l’ultimo: Una delle ultime sere di Carnovale (febbraio 1762); entrambe le opere esprimono il suo addio alla città.

Goldoni spiega come il termine baruffa sia lo stesso tanto

«…in linguaggio Chiozzotto, Veneziano e Toscano, significando confusione, una mischia, azzuffamento di uomini o di donne, che gridano, si battono insieme. Queste baruffe – annota Goldoni – sono comuni fra il popolo minuto, e abbondano a Chiozza più che altrove poiché di sessantamila abitanti di quel Paese ve ne sono almeno cinquantamila di estrazione povera e bassa, tutti per lo più pescatori o gente di marina.»

L’ambientazione a Chioggia non è casuale. Carlo Goldoni aveva studiato da avvocato – professione che praticò a Pisa prima di dedicarsi esclusivamente al teatro – e aveva svolto l’attività di Cogitore (magistrato coadiutore della cancelleria criminale, occupato in cause minori) a Feltre, imparando a riconoscere vizi e virtù delle persone semplici; ma, in precedenza accompagnava il padre, quasi medico, nei dintorni di Venezia, a Chioggia in particolare. L’unica figura non popolare delle Baruffe è proprio quella del Cogitore, nel quale è possibile intravedere l’autore stesso, che si diverte anche a rappresentare l’ambiguità del personaggio aristocratico nei confronti delle figure popolari.

Ma l’amore per quel popolo, esaltato altrove nelle figure di Arlecchino e degli altri eredi della commedia dell’arte, traspare nella scelta della grammatica Chiozzotta:

«Accenno qualche cosa della differenza che passa tra questa pronunzia e la Veneziana, perché ciò ha formato nella rappresentazione una parte di quel giocoso, che ha fatto piacer moltissimo la Commedia. Il personaggio di Padron Fortunato è stato de’ più gustati. È un uomo grossolano, parla presto, e non dice la metà delle parole, di maniera che gli stessi suoi compatrioti lo capiscono con difficoltà. Come mai sarà egli compreso dai Leggitori? E come potrà mettersi in chiaro colle note in pie’ di pagina quel che dice di quel che intende dire? La cosa è un poco difficile. I Veneziani capiranno un poco più; gli esteri, o indovineranno, o avranno pazienza. Io non ho voluto cambiar niente né in questo, né in altri Personaggi; poiché credo e sostengo, che sia un merito della Commedia l’esatta imitazione della natura» (Goldoni, Memorie)

Le baruffe chiozzotte mettono in scena la conversazione continua di un piccolo gruppo – attualmente spostata sui social network, poiché non c’è nulla di nuovo sotto il sole – le cui schermaglie amorose esprimono la visione sociale della vita: Toffolo, detto marmottina, per far ingelosire la desiderata Checca, offre a Lucietta (di lei rivale in pettegolezzi) una fetta di zucca barucca arrostita, nonostante ella sia promessa a Titta-nane. Il ritorno dei pescatori interrompe la disputa tra le donne, per poco: presto riprendono i pettegolezzi e si riaccendono i non sopiti litigi e le dicerie intorno a Lucietta, poi ad Orsetta e al suo promesso Beppo. Infine nella baruffa sono coinvolti tutti: mariti, fratelli e amici del borgo. Beppo e Titta-Nane aggrediscono Toffolo, che è stato la pietra dello scandalo, e dichiarano l’intenzione (falsa) di rompere i fidanzamenti. Toffolo si rifugia in Cancelleria e chiede l’intervento del Cancelliere criminale che, però, risiede a Venezia: il suo aiutante, il Cogitore Isidoro, interroga le ragazze sui putelezi, i pettegolezzi, e cerca di riportare l’armonia. Rabbonisce i fidanzati già pronti alla latitanza, e accomoda la disputa: fidanza Toffolo con Checca – alla quale lascia intendere qualche intenzione – promettendole protezione; e convalida tre promesse: di Lucietta con Titta-Nane, di Orsetta con Beppo e di Checca con Toffolo.

Il sipario del teatro Goldoni si apre su di una scena scarna: uno spazio vuoto al centro del palcoscenico delimitato ai lati da due praticabili, pedane sulle quali alcune sedie vuote già “chiacchierano”, in attesa delle donne che vi siederanno intente al lavoro del tombolo; intorno, come fondale e quinte, velature di tende bianche. Come già visto in altri lavori, lo spazio attivo è al centro; quando gli attori salgono sulle pedane divengono invisibili. Tutti i personaggi sono ben delineati nei rispettivi caratteri e rimangono nella memoria dello spettatore come le amicizie di vecchia data; anzi, abbiamo persino giocato ad immaginare “a chi somiglia”… In questo si coglie la bravura degli artisti e della regia e la qualità della scrittura goldoniana. I caratteri rappresentati sono attuali: invidie, gelosie, timori di perdere le opportunità che qualifichino socialmente, in un mondo che sembra semplice, ma invece è duro: nel quale l’immanenza del destino (il mare, per i Chiozzotti) lascia solo piccoli intervalli di piacere (la felicità?) in un lasso di tempo compreso tra i diciassette anni (della “giovane” Checca) ed i ventiquattro (della “matura” Lucietta), il tempo dell’amore…

Le scene, i costumi, i movimenti, le musiche, le luci: tutto è delineato in modo semplice ed adatto.

Tantissimi applausi anche a scena aperta, da parte del pubblico veneziano; anche Goethe riferisce sia accaduto così durante la rappresentazione della commedia alla quale intervenne:

«Non ho mai assistito in vita mia ad un’esplosione di giubilo come quella cui si è abbandonato il pubblico a vedersi riprodotto con naturalezza. È stato un continuo ridere di pazza gioia dal principio alla fine. Bisogna anche dire che gli attori hanno recitato a meraviglia. Si erano distribuite le parti a seconda dell’indole dei rispettivi temperamenti e come si vede abitualmente nella vera vita del popolo»

«E sullo sfondo dei festeggiamenti per i tre matrimoni appena celebrati, il tempo scorre, il Cogitore è in partenza, come Goldoni è in partenza per Parigi, ricordando le donne di Chioggia e le loro “Baruffe” d’amore» (Note di regia)

Personaggi e interpreti: Paron TONI, Giancarlo Previati
Madonna PASQUA, Michela Martini
LUCIETTA, Marta Richeldi
TITTA NANE, Francesco Wolf
BEPPO, Riccardo Gamba
Paron FORTUNATO, Valerio Mazzucato
Madonna LIBERA, Stefania Felicioli
ORSETTA, Francesca Botti
CHECCA, Margherita Mannino
Paron VICENZO, Leonardo De Colle
TOFFOLO, Luca Altavilla
COGITORE, Piergiorgio Fasolo
COMANDATORE-CANOCCHIA, Vincenzo Tosetto

Regia: Paolo Valerio

Consulenza storico – drammaturgica: Piermario Vescovo

Movimenti di scena: Monica Codena

Scene: Antonio Panzuto

Costumi: Stefano Nicolao

Musiche: Antonio Di Pofi

Luci: Enrico Berardi

Assistente alla regia: Paola Degiuli

Direttore di scena: Andrea Patron

Macchinista: Matteo Cicogna

Elettricista: Alessandro Scarpa

Fonico: Matteo Chiochetta

Sarta: Lauretta Salvagnin

Segretaria di compagnia: Federica Furlanis

Realizzazioni costumi: Nicolao Atelier

Realizzazione scene: Teatro Sociale di Rovigo

Foto di scena: Claudio Martinelli

Progetto grafico: Begriff

Ufficio stampa: Studio Systema

I commenti sono chiusi