Così fan tutte

Così fan tutte

Così fan tutte (1790) è l’ultima opera della trilogia mozartiana sui testi di Lorenzo Da Ponte, dopo Le nozze di Figaro (1786) e Don Giovanni (1787); ed è anche la sua ultima opera buffa, che lascia in bocca, forse, il più intenso sapore amaro: la perdita dell’ingenuità…

Il libretto si rifà ad un precedente lavoro di Da Ponte – L’arbore di Diana, musicato da Vicente Martin y Soler – a sua volta ispirato a svariate fonti; in ogni caso, i personaggi rappresentati ed i loro nomi sono abbastanza tipici della commedia dell’arte.

Dalle varie note all’opera, reperibili nei programmi di sala delle diverse rappresentazioni, che si possono leggere qua e là, impariamo come l’ouverture sia caratterizzata da due cadenze: la prima, in piano, è una cadenza d’inganno (passaggio dal quinto al sesto grado della scala tonale, interlocutoria); la seconda, in forte, è una cadenza perfetta (passaggio dal quinto al primo grado della scala tonale, conclusiva). Si tratta del motto dell’opera, che viene ribadito poco prima del finale da don Alfonso, Ferrando e Guglielmo, che cantano in trio l’aria emblematica Tutti accusan le donne ed io le scuso con l’intonazione del verso “così fan tutte” ripetuta successivamente nelle due cadenze indicate. Mozart ricorre a questa scelta musicale per un ben preciso intento: la frase va prima sussurrata con pudore, poi affermata con decisione. Per quale motivo? Due considerazioni si candidano: una a riguardo delle vicende sociali del tempo, l’altra inerente alla vita del musicista.

I libretti di Da Ponte esponevano le nuove idee illuministe che pretendevano di contrastare i luoghi comuni irrazionali: nei primi due lavori – le Nozze di Figaro e Don Giovanni – l’accento era posto sulla corruzione morale della nobiltà, sull’anacronismo dello ius primae noctis, sulla prepotenza arrogante ed indolente dei signori, cui venivano contrapposte l’ingegno e l’intraprendenza di una servitù ormai in grado di emanciparsi. Nel libretto di Così fan tutte, viene tolto il velo sull’incostanza della sessualità femminile, che già aveva fatto capolino nella figura di Zerlina, seriamente tentata da Don Giovanni, ma ancora non era stata generalizzata per comprendere anche le classi superiori fino ad allora ipocritamente ammantate da dignità morale e virtù.

Per quanto riguarda la vita di Mozart – l’opera è messa in scena nel gennaio del 1790 – apprendiamo dalle sue lettere, come alla fatica economica si sommasse ormai anche la fatica del ménage familiare: Costanza si ammalava, oggi potremmo dire di depressione, ed aveva bisogno di staccare anche affettivamente dal marito…

La vicenda di Così fan tutte, ambientata a Napoli, si apre con una contesa filosofico-morale tra due giovani ufficiali – Ferrando (Juan Francisco Gatell) e Guglielmo (Vito Priante), che vantano l’amore e la fedeltà delle proprie fidanzate Dorabella (Chiara Amarù) e Fiordiligi (Francesca Dotto) –; e il filosofo don Alfonso (Pietro Spagnoli) che si fa burle di loro. Irritati, i due lo sfidano a scommettere una somma di denaro: don Alfonso accetta a condizione che essi rispettino le sue indicazioni. Per condurre l’inganno, il filosofo cerca l’alleanza della scaltra cameriera Despina (Monica Bacelli) al servizio delle due sorelle, cui confida però solo una parte del piano: i fidanzati sono partiti per la guerra e due nobili albanesi vogliono corteggiare le ragazze.

Despina, pratica di ogni stratagemma, è ben felice di gestire la situazione (Una donna a quindici anni) in cui potrebbe trarre qualche piccolo vantaggio economico e di potere. Le ragazze si lasciano convincere e decidono di «divertirsi un poco, e non morire dalla malinconia», ripromettendosi nel contempo di non mancare di fede agli amanti: nessuno saprà niente e la gente penserà che gli albanesi siano spasimanti della cameriera. Si assiste ad un modernissimo scambio di coppie: Dorabella vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza Ferrando.

In un pomeriggio incantato – d’altronde si è a Napoli – Fiordiligi scherza con Ferrando con il quale si allontana; confuso dalla gelosia, Guglielmo offre un regalo a Dorabella e riesce a conquistarla (Il core vi dono). Ma Fiordiligi rimane turbata dalle parole del nuovo corteggiatore e capisce che i propri sentimenti possono diventare incontrollabili; non si tratterà più di un gioco. Dorabella mostra un atteggiamento più superficiale, convinta dagli argomenti di Despina e Fiordiligi, in pieno dramma interiore, decide di travestirsi da ufficiale e raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: è pronta, cioè, al sacrificio che attenua – ma consacra definitivamente – i rimorsi.

Guglielmo è demoralizzato e Ferrando è furente, ma Don Alfonso aiutato da Despina fa in maniera che tutto si ricomponga con saggezza: egli non intende accusare le donne – è colpa della natura se «così fan tutte» – vuole piuttosto insegnare ai maschi e alle femmine affinché non siano troppo superbi. Tutto finisce quasi bene… Le coppie si compongono – ma non si sa più quali – e tutti cantano la morale: fortunato è l’uom che prende/ ogni cosa pel buon verso/ e tra i casi e le vicende/ da ragion guidar si fa». Su questo comun divisore potremmo essere quasi d’accordo…

La musica di Mozart prende tutto molto seriamente: l’artificiosità e la convenzionalità delle formule, la possibilità di scarti stilistici, le risorse della parodia e dell’autocitazione. Ogni frase del libretto ne viene illuminata: la posta in gioco non è la virtù femminile né una generica libertà sessuale quanto, piuttosto, il disincanto, l’uscita definitiva dal giardino dell’Eden. La natura umana, messa alla prova, si rivela dominata dalla volubilità dei sensi (l’inconscio) e non diretta da un sistema di idee (la coscienza).

Entrando nel merito della rappresentazione cui abbiamo assistito al Teatro dell’Opera di Roma, vogliamo opporre una vigorosa critica alla regia di Graham Vick, cominciando dalla scena del disvelamento, nella quale Guglielmo piega in avanti Fiordiligi, tenendole una mano sul collo… probabilmente ciò è indicato nel libretto, visto che anche in altre edizioni, occhieggiate su Youtube, il movimento viene proposto in modo simile; ma noi abbiamo trovato la raffigurazione della violenza insopportabile… naturalmente poi, come tutti, critichiamo la scelta ambientale di una classe di liceo, con scene e costumi (di Samal Blak) e luci (di Giuseppe Di Iorio) relativi: l’amore al tempo di WhatsApp non si presta bene, e l’appiglio alla scuola degli amanti è piuttosto esile. Critichiamo non solo per questioni di irriverenza, ma piuttosto perché l’idea registica è implicitamente incline a svuotare di contenuti lo sviluppo della trama e la densità psicologica offerta della musica.

Gli interpreti sono tutti molto validi: a noi è piaciuto particolarmente Vito Priante (Ferrando), la cui bella voce di baritono, calda e morbida, insieme alla prestanza fisica aggiungeva spessore al personaggio rappresentato. Il coro, diretto dal M° Gabbiani, pur se confinato nel golfo mistico dietro l’orchestra, ha dato un’ottima prova di sé come ormai accade da molti anni.

Per la prima volta, da quando frequentiamo i teatri dell’opera in tutta Italia, abbiamo assistito alla direzione di una donna: abbiamo trovato la Maestra (?) Speranza Scapucci molto valida; la sua gestualità un po’ enfatica mescolava, ai movimenti cui siamo assuefatti, un’espressione delle braccia che ci richiama alla mente i portamenti della danza classica. Orchestra, coro e cantanti erano ben condotti e l’hanno seguita con scioltezza ed espressività: una bella sorpresa. Sta cambiando qualcosa nel panorama socio-culturale?

pietrodesantis

I commenti sono chiusi