Florence

Florence

La produzione cinematografica mondiale è ampia ed i suoi ritmi sono incessanti; il consumo che ne è stimolato spinge verso ulteriori richieste e nuove proposte: si capisce, perciò, come sia oltremodo difficile trovare argomenti inattesi ed interessanti.

Il consumo stesso, che sospinge il vortice della ricerca e dell’invenzione, diventa protagonista e induce all’autocelebrazione: da un po’ di tempo si leggono titoli che esaltano gli eroi commerciali, siano essi creatori di macchine innovative, imprenditori di spettacoli, delatori universali, manager dell’alimentazione non fa molta differenza.

La pura e semplice cronaca dei successi economici – benedizione dell’attuale religione laica – non è comunque sufficiente a rappresentare, se pur indirettamente, una proposta culturale; per cui gli sceneggiatori, attingendo a piene mani al cinismo, la infarciscono di significati secondari e di appigli psicologici più o meno autentici o credibili. Un esempio di ciò è dato dal film Florence nel quale alcuni ottimi attori si propongono come personaggi dell’establishment dello spettacolo della prima metà del novecento.

Florence (Florence Foster Jenkins) fu una cantante statunitense nota per la completa mancanza di doti canore. Ebbe una valida educazione musicale nell’infanzia e manifestò il desiderio di studiare in Europa, ottenendo un secco rifiuto dal padre. La donna (siamo alla fine dell’ottocento) fuggì a Filadelfia con Frank Thornton Jenkins, un medico, che divenne suo marito. In questa città si guadagnò da vivere come insegnante e pianista. Ma dal marito contrasse la sifilide, che le provocò danni irreparabili alle articolazioni a seguito delle quali dovette abbandonare la carriera di pianista. Alla morte del padre la Jenkins ereditò un’ingente somma di denaro e si decise di intraprendere la carriera di cantante lirica. Si coinvolse nella scena musicale di Filadelfia, fondando e sovvenzionando il Verdi Club; prese lezioni di canto e iniziò a esibirsi in qualche recital. La Jenkins aveva difficoltà nell’intonazione e nel ritmo ed era a malapena in grado di sostenere le note, forse a causa della malattia. Nelle registrazioni dell’epoca è possibile ascoltare come i suoi pianisti accompagnatori facciano aggiustamenti per compensare le variazioni di tono e gli errori ritmici. Ciononostante, divenne notevolmente famosa e in modo non convenzionale. Apparentemente il suo pubblico l’amava per il divertimento che assicurava; era comunque conscia delle critiche e diceva “La gente può anche dire che non so cantare, ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato.” La Jenkins, dimostrando di possedere un notevole senso dell’ironia, amava indossare costumi elaborati ed eccessivi che disegnava da sola: talvolta si presentava con ali e paillettes, gettava fiori al pubblico, agitava voluminosi ventagli o esibiva una fioritura tra i capelli. Nonostante le richieste per un maggior numero di spettacoli, limitò le sue esibizioni ai pochi luoghi graditi e al suo recital annuale nella sala da ballo del Ritz-Carlton di New York. La partecipazione ai suoi recital era limitata alle compagne del club e a pochi altri ospiti selezionati: si occupava personalmente della distribuzione degli ambiti biglietti. La Jenkins cedette infine alle richieste del pubblico e si esibì alla Carnegie Hall, il 25 ottobre 1944, all’età di 76 anni. Il concerto, tanto atteso da ottenere il tutto esaurito con settimane di anticipo, venne stroncato dalla critica. Florence morì un mese dopo questo evento.

Sebbene la vicenda umana della Jenkins presenti una quantità notevole di spunti interessanti: la rabbia nei confronti del padre perché le impedì la prosecuzione degli studi; e dell’ex marito che gentilmente le trasmise la sifilide, malattia mortale fino alla scoperta della penicillina; la lotta contro la sifilide, appunto, che avendole impedito di esibirsi come pianista non le impediva però di cantare male; l’intesa ironica con il pubblico e la conseguente parsimonia delle esibizioni; il film ci presenta un’improbabile vicenda d’amore e di imbarazzi, ristretta all’ultimissimo periodo della vita. Florence (Meryl Streep) ha un secondo marito St Claire Bayfield (Hugh Grant) ex attore mediocre con il quale condivide volutamente un ménage solo diurno, per preservarlo dalla sifilide. Ogni sera l’uomo, dopo avere dato il bacio della buonanotte alla sua fragile metà, passa il restante tempo nel proprio pied-à-terre insieme alla legittima fidanzata Kathleen (Rebecca Ferguson), attrice anch’ella, consapevole dell’intera faccenda. La vicenda fa perno sull’affetto fraterno tra marito e moglie e sulla convenienza di tutti: i soldi di Florence, oltre ad avere sedotto St Claire, fanno girare gli affari musicali a Filadelfia (compare persino un Arturo Toscanini in cerca di sovvenzioni). La consapevolezza della propria mediocrità induce St Claire a proteggere, con sincera tenerezza, Florence dalle delusioni troppo brucianti. Tutti vivrebbero felici e contenti se in un disgraziatissimo week end dedicato a golf (amore e sesso) da St Claire, Florence non si decidesse ad incidere un disco e distribuirlo gratuitamente ad alcuni amici e, per la tipica deviazione del destino, non ne finisse una copia in mani sbagliate… in un precipitare concitato di avvenimenti si arriva alla tragicomica serata alla Carnegie Hall, durante la quale i fischi di disapprovazione si tramutano in una moltitudine di applausi a seguito di un discorso strappalacrime di un’ennesima attricetta (Nina Arianda) in cerca di gloria e riconoscenza… Personaggio importante nella vita di Florence fu il pianista accompagnatore Cosme McMoon (Simon Helberg): nel film, giovane spiantato, viene arruolato da St Claire in sostituzione dei pianisti ufficiali, che sparivano regolarmente prima dei concerti, e pian piano coinvolto in un sogno, equivalente quasi ad un pronto soccorso psichiatrico, a dispetto di quanti, approfittando dell’ingenuità della protagonista, desideravano soltanto appropriarsi del suo denaro… Il regista Stephen Frears le ha tentate tutte per sfuggire all’antica massima, ben piantata nella sua testa: Pecunia non olet; ma è riuscito nell’intento opposto. Ma il prodotto è confezionato molto bene e con grande professionalità: ottima la scelta degli attori, le scene e i costumi, la musica e la descrizione di una certa aria nervosa che pervade ogni organizzazione teatrale e musicale. Molto divertente ed azzeccato il personaggio del giovane pianista – nello stesso tempo pieno di speranze ed attonito – reso con bravura da Simon Helberg.

Comunque noi preferiamo raccontare un’altra storia, fatta di coraggio ed ironia e dell’uso intelligente del denaro: intelligente perché impegnato in progetti, impegni, imprese, sogni condivisi con maggiore o minore cattiva coscienza, ma pur sempre condivisi.

pietrodesantis

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