Signorina Rosina di Antonio Pizzuto

Signorina Rosina di Antonio Pizzuto

Propongo qualcosa che, forse, non si capirà.

Da un po’ di tempo vado promuovendo un libro, tra amici e parenti, pubblicato per la prima volta nel 1956 dall’editore Macchia e poi successivamente riproposto da svariati editori in svariate, successive, ristampe: l’ultima disponibile sul mercato è di Polistampa e risale al 2004.

L’autore, al giorno d’oggi, è sconosciuto ai più, anche se ha costituito uno dei casi letterari (insieme con Giose Rimanelli e Giuseppe Berto) in Italia, tra il 1958 e il 1976 (anno della morte di Pizzuto): accolto dapprima entusiasticamente (Gianfranco Contini), poi sempre più snobbato da pubblico e critica a causa delle crescenti e obbiettive difficoltà di lettura, e interpretazione degli ultimi romanzi (in particolare Testamento, 1969, libro molto atteso soprattutto da Angelo Mondadori).

Ma Signorina Rosina (come pure Si Riparano bambole, 1960) è un’opera straordinaria: facilmente fruibile per una (quasi) semplice lettura, presenta già tutte le caratteristiche della straordinaria opera pizzutiana per i contenuti e la sottintesa weltanschauung che fa riferimento al “Fenomenismo” di Cosmo Guastella (1854 – 1922).

Si tratta di un romanzo d’amore, con un finale felice/amaro: i due innamorati, clandestini e trasgressivi, continueranno a frequentarsi (fino alla morte), immaginando una qualche vita comune “impossibile in questo mondo”; nel quale Bibi (Conte Alberto) ha una famiglia regolare, con moglie e figlia; e Compiuta (senza cognome) fa la zia a tempo pieno. (Sulla presenza ed assenza dei cognomi si potrebbe ricamare: ufficialità/clandestinità?)

Ciascuno dei due si muove ed esiste, in virtù del movimento e dell’esistenza dell’altro: il loro rapporto è principalmente epistolare (in questo risulta assolutamente moderno, fatte le debite analogie con chat, Facebook e quant’altro).

Tutto quello che si sa dei due – presi singolarmente o in coppia – si desume dalle lettere; dai corpi riflessi nei cristalli delle vetrine di negozi o delle portiere di veicoli; dalle relazioni occasionali con altri abitanti del mondo; o dai discorsi di questi altri intorno ai protagonisti.

Ma – anche – il mondo esiste per ciascuno dei due grazie al racconto dell’altro: la presenza stessa – di ognuno dei due nel mondo – è confermata dal racconto, che l’altro fa, dei fatti da lui (o da lei) percepiti. Non è sufficiente, per Pizzuto, la narrazione che ciascuno di noi può fare a se stesso (cioè il cogito ergo sum) ad essa va aggiunta l’annotazione fenomenica: “se tu mi pensi esisto”.

I due protagonisti si amano senza comprendersi, o meglio, fraintendendo sempre: questo travisare è la carica a molla (cioè meccanica) che li spinge l’uno verso l’altro attraverso chiarimenti, dichiarazioni, riconciliazioni, sentimenti di profondità inaudita seppure banali…

Interessante è il senso del titolo, filo conduttore “casuale” del romanzo: che un indizio più volte ripetuto costituisca una prova è dogma affermato tanto dalle prospettive poliziesche quanto da quelle psicoanalitiche (la “ridondanza” del sintomo, sicut Freud docet).

O meglio, il filo conduttore è nella casualità che si tinge di ripetitività e, quindi, di coincidenze: ciò che esiste, esiste nella memoria (perché nella realtà pratica è consumato istantaneamente). Le cose che più persistono – e godono di un’esistenza più forte – sono quelle “più ripetute”: le coincidenze ne fanno parte e suggestionano quasi al livello di legge o di “destino” (ad esempio si può prendere la vicenda psicoanalitica di Edipo, con le minacciose predizioni simmetriche di Era a Laio e di Apollo allo stesso Edipo).

Dunque: Signorina Rosina è il nome dell’anziana zia, colei che (presumibilmente) ha dato tutto a Bibi in termini di affetto (unica parente) e di denaro (l’appartamento di famiglia) alla quale lo stesso protagonista è fortemente legato; però è anche il nome di tutti i somarelli che portano un gruppo di studenti in cima ad un monte; è il nome della motonave sulla quale Compiuta fa un’improbabile traversata per raggiungere Bibi in un’isola; è il nome dell’inserviente di un LUNA PARH (!) che ricuce un bottone sulla giacca di Bibi; è il nome della figlia del capo delle guardie del penitenziario che – cantando – forse seduce il protagonista; è il nome della zia di uno spasimante di Gisa, nipote di Compiuta; ma è anche il nome di una prostituta che “lavora” vicino al cimitero – in cui Bibi, in quanto geometra, controlla i lavori in muratura – e che tanto sconvolge Compiuta.

Ecco, in riferimento a quest’ultima “coincidenza” si accende la gelosia della ragazza: la difficoltà (o impossibilità?) dell’amore carnale la sconvolge o, come direbbe una nostra amica, rende il suo rapporto con Bibi più acceso, più interessante, non lo consuma rapidamente.

La coincidenza è il regno dell’inconscio, in quanto attiva le catene associative che ne alimentano le dinamiche; queste stesse coincidenze – a me sembra – che per Pizzuto seguano la struttura delle composizioni musicali, con temi sovrapposti che si rafforzano o si scontrano, si dissolvono e riprendono vigore fino a ritrovare l’accento inziale che ne chiude la traiettoria; oppure semplicemente svaniscono.

Ma “noi” sappiamo che il “fenomeno” definito “pensiero” – attribuito al “fenomeno” definito “essere umano” – ha bisogno di trovare una coerenza nelle cose e nei fatti (ed è questo il pensiero “banale”) oppure nella ricerca o nella meditazione (ed è questo il pensiero “profondo”); ma il risultato è pur sempre lo stesso: l’enunciazione di un “titolo”.

Ma alla fine del libro resta in mente l’infinita tenerezza di Compiuta, nascosta nei modi irritati e permalosi, e l’assoluta innocenza di Bibi, piena di cattiva coscienza: due esseri perdutamente immersi nella relazione dell’amore senza tempo, senza senso…

Pietro De Santis

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