I blues

I blues

Al Teatro Sala Umberto di Roma (via della Mercede 50) martedì 20 ottobre ha debuttato lo spettacolo I BLUES, di Tennessee Williams, nato nel 1911 a Columbus, Mississippi, e morto nel 1983 a New York: sono tre degli American Blues scritti negli anni ’40, quando il drammaturgo iniziava a tratteggiare i personaggi tipici dei suoi drammi, successivamente rappresentati in tutti i teatri del mondo e consacrati da Marlon Brando e Vivien Leigh (Un tram che si chiama desiderio); Elizabeth Taylor e Paul Newman (Improvvisamente l’estate scorsa; La gatta sul tetto che scotta); Carroll Baker (Baby Doll).  Sebbene non bisognerebbe mai mettere in relazione la grandezza poetica di un autore con le vicende della storia personale, tuttavia è utile gettare uno sguardo sulla vita di Tennessee Williams allo scopo di percepire alcuni tra gli strumenti utilizzati nella sua drammaturgia: primo tra tutti, una straordinaria percezione della sofferenza, che consegue dall’ignoranza e dall’isolamento, i cui esiti sono frustrazione dei desideri e rassegnazione.

In una provincia americana desolata e senza tempo, Williams descrive l’umanità della figura femminile attraverso la dimensione sessuale: This Property Is Condemned (Proibito) presenta un’adolescente nel fiore della sua bellezza; 27 Wagons Full Of Cotton (27 vagoni di cotone) ritrae una donna sposata e Portrait Of A Madonna (Ritratto di madonna) descrive la solitudine di una donna matura.

Nella versione italiana di Gerardo Guerrieri, con la regia di Armando Pugliese, Elena Sofia Ricci si cimenta nei tre ruoli femminili, accompagnata da Mimmo Mancini, Mimmo Mignemi e Lorenzo Ciambrelli.

In Proibito la protagonista ha un unico passatempo sotto i raggi del sole: camminare il più a lungo possibile in equilibrio sul binario del treno, un prolungarsi dell’età infantile in una quotidianità che non suscita interesse, rappresentata da “un cielo bianco con nuvole bianche”, come l’immagine proiettata sul fondale. Il binario su quale cammina è un binario morto, non quello dove transita il treno-razzo, il rapido che corre velocissimo fino alla città dei sogni. Le notti sorprendono la protagonista impegnata in un altro gioco di equilibri – tra pratiche sessuali e consumo di alcool – esercitato per soddisfare un potere, più che per ottenere un piacere, nell’attesa della morte precoce per tubercolosi, come l’eroina di un film, senza amore né luci di scena. Così svela se stessa  all’amico balbuziente che la segue (Lorenzo Ciambrelli). I panni della ragazza non calzano alla brava e bella attrice fiorentina: la voce è troppo impostata e troppo alta, non sussurra mai. Il suo muoversi è da donna e non da adolescente; nei gesti non traspaiono il gioco, per quanto stanco, o la ribellione e l’invidia; i sentimenti che emergono dalla voce sono neutri e mal si coniugano con i gesti descritti dal drammaturgo. È resa bene, invece, la figura petulante del giovane balbuziente, che segue ammirato l’amica.

In 27 vagoni di cotone la protagonista è una donna sposata che vorrebbe sentirsi “regina del focolare” ed invece ne è serva: ella non riesce a nascondere la propria ambivalenza nei confronti del marito (Mimmo Mancini) violento e sprezzante dei suoi desideri. Più si sente svalutata e più ella diviene insistente nel richiedere attenzioni e incapace di liberarsi dal malessere di un rapporto sadomasochista, nemmeno quando il marito la “offre” al ricco vicino (Mimmo Mignemi) in cambio del lavoro su 27 vagoni di cotone. Nell’interpretazione di questo personaggio la Ricci dà il meglio di sé: è una moglie credibile ed esprime un’intensità di sentimento che coinvolge lo spettatore mentre accetta un’esistenza squallida ed un adulterio rabbioso, nel tentativo di sentire confermata la propria identità femminile e assaporando briciole di piacere e di affetto. Molto bravi nel proprio ruolo i due comprimari: uomo e marito ignobile il primo; affarista duro e cinico il secondo.

Nel Ritratto di madonna, la protagonista è una donna che vive sola, in un appartamento di città. Le è morta la madre da alcuni mesi ed ora finge di convivere con un uomo – Riccardo – che vuole approfittare di lei e del suo corpo continuamente: la bramosia sessuale fantasticata è l’unico argomento di conversazione, ed è anche motivo di urla per litigi senza fine. Il suo delirio è un assillo anche per gli altri inquilini. Il proprietario dell’appartamento, che a lungo ha cercato di proteggerla, è costretto a chiamare i servizi medici per il ricovero in una clinica. L’azione teatrale coglie il momento in cui il portiere dello stabile (Mimmo Mignemi) ed il ragazzo dell’ascensore (Lorenzo Ciambrelli) sono nel salotto dell’appartamento in attesa di accompagnarla al portone, mentre la donna va e viene dalla stanza da letto in cui, a suo dire, c’è l’amante che riposa. In questo particolare spazio scenico, l’elemento simbolico è un giradischi: il ragazzo dell’ascensore vuole appropriarsi di alcuni dischi, ma il portiere glielo impedisce e, all’uscita di scena (e di casa) della donna, chiude con delicatezza la valigetta che contiene il fonografo. Anche in questo personaggio l’attrice non ci è sembrata a proprio agio: la voce è troppo portata e sicura, e non cede come dovrebbe alle debolezze dei sentimenti che – nella follia – pretendono un’espressione addirittura estrema, fatta di esagerazioni e crolli. Neanche i due attori brillano di luce particolare: forniscono un’anima esile ai loro personaggi ed esauriscono l’episodio del giradischi con poca enfasi, narrandolo come un fatto marginale.

La regia di Armando Pugliese non ci è parsa impeccabile, nonostante abbia operato ottime scelte scenografiche insieme ad Andrea Taddei; le musiche di Stefano Mainetti e le luci di Umile Raineri hanno dato il giusto risalto all’azione drammatica. Sappiamo come la prima di uno spettacolo quasi mai riesca ad esprimere il massimo delle qualità degli interpreti: tensioni, impacci, inconvenienti ancora non del tutto risolti possono limitare la resa complessiva; ma i testi sono belli e gli attori si dimostrano validi professionisti. Calorosi sono stati gli applausi.

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