Il villaggio di cartone

Il villaggio di cartone

Le persone, viste da vicino, son più belle: questa sembra l’interessante idea espressa, al di là delle parole, in un film che somiglia troppo ad una pièce teatrale.

Ermanno Olmi, noblesse oblige, ha attinto a piene mani dal pentolone dei “grandi temi”: il fallimento della Chiesa; la perdita delle vocazioni; la solitudine dei preti; il dramma dell’immigrazione; l’egoismo dei ricchi; il tradimento dei deboli verso gli ancor più deboli; la violenza miope di legislatori e funzionari; il criptorazzismo; il conflitto delle civiltà; il mistero della vita e della morte.

Però li ha rovesciati tutti insieme – come per svuotare la borsa cercando qualcosa – in ottanta minuti di pellicola. Ne è sortito un lavoro non privo di spunti di umanità, ma pesante e retorico, gonfio di simboli e allegorie monotonamente ripetuti per l’ostinazione di separare il bene dal male.

L’ambiente drammatico è una chiesa che viene svuotata degli arredi sacri (il fallimento della chiesa), compreso il grande crocifisso posto sopra l’altare. Il motivo dello sgombero sembra acclarato ma chiaro non è: potrebbe trattarsi del pensionamento dell’anziano parroco e della concomitante penuria di sostituti – per la crisi delle vocazioni bisogna attendere anche l’immigrazione dei preti – con conseguente accorpamento delle parrocchie (stile ministro Gelmini);  ma, a parte l’evidente allegoria, per onestà culturale bisogna ricordare che consacrati rimangono luogo ed altare, a dispetto degli arredi, per cui il culto (Consacrazione del pane e del vino) è valido anche in un ambiente nudo.

Sta di fatto che con le panche residue ed il fonte battesimale il vecchio prete (Michael Lonsdale) non si rassegna (solitudine dei preti): resiste alle demoniache tentazioni (egoismo dei ricchi) propinategli dall’oscuro sacrestano (Rutger Hauer) e furtivamente colloca sopra all’altare, rimasto nudo, la piccola scultura da camera del Cristo in croce con le pie donne.

Al calare del buio si verifica il “clinamen”: un folto gruppo di clandestini (dramma dell’immigrazione) cerca rifugio nei locali della chiesa e, ricoprendo le panche con i cartoni raccattati in giro, erige un piccolo villaggio notturno (simbolico) con l’aiuto di tre immigrati residenti: una prostituta (Irma Pino Viney), il suo innamorato (Samuels Leon Delroy) e l’ingegnere (El Hadji Ibrahima Faye) che compongono la schiera dei buoni. L’anziano sacerdote, campione di carità, vede la sua chiesa riprendere vita.

Ma il male è sempre in agguato: all’interno della piccola comunità ne rivendicano il diritto due clandestini aspiranti terroristi (conflitto delle civiltà) ed un malfattore che vende il passaggio verso la Francia (tradimento dei deboli verso i più deboli); all’esterno gli uomini della Legge si organizzano per irrompere nella chiesa (violenza miope dello Stato).

Un graduato (Alessandro Haber) minaccia il parroco per imporre il proprio potere anche dentro al luogo consacrato e trova la connivenza del sacrestano e la delazione di un clandestino che, per ottenere il diritto d’asilo, denuncia l’ingegnere come attivista politico. Il graduato non può credere che un immigrato possa essere ingegnere (criptorazzismo) ed organizza una retata per arrestarlo.

Nella notte una ragazza partorisce, aiutata dalla prostituta che riscalda al fuoco delle candele votive l’acqua piovana raccolta nel fonte battesimale (allegorie a valanga) ed il sacerdote intona l’Adeste Fideles (sbagliando le parole). Infine arriva l’alba: i clandestini si stipano sul nuovo mezzo di trasporto; la polizia fa irruzione nella chiesa per arrestare l’ingegnere ed il sacerdote, impaurito dal pensiero della solitudine chiede il conforto del medico che ha curato i feriti (Massimo De Francovich) obiettore di coscienza, quindi nella schiera dei buoni, per discutere della fede, della vita e della morte (l’ultimo mistero). Tutto in una notte (o due) ed in ottanta minuti di film (non in ottanta puntate).

Come si diceva il ritmo è lento, la sceneggiatura è di stampo teatrale o può rappresentare la base peri una fiction: non esalta la fotografia – a parte i primi piani –, la colonna sonora non lascia ricordi e la recitazione è monocorde.

continua»

Nel bilancio di pregi e difetti prevalgono i secondi ma traspare teneramente, dai fotogrammi, l’assioma che le persone viste da vicino siano belle: i frequenti primi piani lasciano ammirare la finezza o la grossolanità dei lineamenti per suggerire possibili sentimenti. Quindi, siamo propensi ad attribuire al regista l’esortazione ad osservare ed ascoltare da vicino: solo così l’umanità di ciascuno può risaltare concretamente.

Non si tratta di un’intuizione da poco, vista la consuetudine assolutamente maggioritaria di spiare da lontano, di affidarsi al pregiudizio radiotelevisivo, di emanare sentenze in pochi istanti, di esser pronti a voltare il capo da un’altra parte dinanzi alla sofferenza a meno che non si possano diffondere pettegolezzi o sussurrare maldicenze. Riconosciamo ad Ermanno Olmi il desiderio di ribadire che solo fede, speranza e carità restano, ma più importante è la carità.

(pietro de santis)

I commenti sono chiusi