Basilicata coast to coast

Basilicata coast to coast

Regia di Rocco Papaleo, con Alessandro Gassman, Giovanna Mezzogiorno, Rocco Papaleo, Paolo Briguglia, Max Gazzé, Claudia Potenza, Michela Andreozzi, Antonio Gerard, Augusto Fornari, Gaetano Aamato

 Alcuni amici, incontrati nel mese di agosto, ci avevano parlato in termini molto postivi – tanto da incuriosirci – di questo film che evidentemente suscita tuttora interesse, nonostante stia in circolazione da molti mesi, visto che anche ieri sera, giovedì 9 settembre, a Roma era in programmazione in almeno due sale: il Teatro Politecnico, storico spazio multimediale della capitale, e l’Arena di Castel Sant’Angelo allestita per l’Estate Romana.

Come sempre, prima di raccontare la trama e discuterne le qualità, ci piace iniziare con un piccolo ragionamento che serve a inquadrare la prospettiva culturale nella quale ci muoviamo: a vantaggio, o ad avvertimento, di chi voglia leggere (ed anche vedere il film).

L’espressione “coast to coast” è tipica dello slang americano e significa letteralmente da costa a costa. La traversata della Basilicata, dalla spiaggia di Maratea sul Tirreno a quella di Scanzano sullo Jonio è proprio il nucleo del racconto, ma la definizione yankee ha un contenuto più ampio: si riferisce a qualcosa di epico come, ad esempio, il traversare gli Stati Uniti da costa a costa in automobile senza soste – lo facevano i giovani un po’ sballati della “beat generation” (per es. leggi “On the road” di Jack Kerouac) -; oppure si riferisce a una prestazione atletica e tecnica che mostri qualcosa di straordinario come, nel gioco del Basket della NBA, impossessarsi del pallone sotto il proprio canestro e fare un’incursione individuale nel campo della squadra avversaria mettendo a segno due punti (da un estremo all’altro, per l’appunto). È principalmente a causa di questi significati che l’espressione è divenuta proverbiale.

Tutti gli esseri umani sognano di essere ricordati per qualcosa e, spesso con gran fatica, cercano l’espediente perché questo accada: allora, grazie alla traccia impressa nel pensiero altrui, dall’altrui pensiero ritorna all’autore del gesto un’immagine di se stesso luminosa e il segno di essere entrato nel mito (come le impronte delle mani impresse dai grandi attori del cinema nel cemento, sullo spiazzo antistante al Grauman’s Chinese Theatre di Hollywood).

Per contro, tutti vorrebbero sfuggire alla “Damnatio memoriae” (la condanna della memoria), che gli antichi romani infliggevano agli autori dei misfatti contro lo stato, nei confronti dei quali veniva cancellato ogni ricordo tangibile, come se non fossero mai esistiti.

Il film sottintende, in modo quasi del tutto inconsapevole, tre temi: lasciare un segno nel mondo, scoprire una propria identità, trovare un’intesa tra amicizia e amore.

La storia è semplicissima: quattro ragazzi un po’ attempati, ognuno impegnato in un’attività professionale diversa, suonano insieme una sorta di musica pop. Nicola (Rocco Papaleo) canta ed è l’anima del gruppo, Franco (Max Gazzé) suona il contrabbasso, Salvatore (Paolo Briguglia) suona la chitarra e Rocco (Alessandro Gassman), suo cugino e vera star della compagine, non è capace di far nulla ma è bello e si esibisce battendo il ritmo delle canzoni sulla custodia degli strumenti.

Invitati a suonare in una manifestazione a Scanzano, per fare pubblicità al gruppo e lasciare un’impronta “nell’immaginario collettivo” Nicola propone la traversata a piedi della Basilicata da costa a costa, della quale trasmettere un rendiconto giornaliero – corredato da riprese videoregistrate – attraverso una stazione televisiva parrocchiale.

L’inviata è Tropea Limongi (Vittoria Mezzogiorno), ragazza che sogna di fare ben altri editoriali piuttosto che seguire a piedi un gruppo di “sfigati”.

Altre due donne ruotano intorno ai quattro: Lucia (Michela Andreozzi), la ricchissima moglie che tiene Nicola letteralmente per le palle e Maria Teresa (Claudia Potenza), una bella ragazza incontrata lungo la strada che, alla vigilia delle nozze, vuole togliersi lo sfizio di una notte di sesso “sfrenato” con Salvatore e Rocco insieme.

Tra confessioni e tenere gag, tre avvenimenti catalizzano l’attenzione della combriccola: l’intesa tra Salvatore, Maria Teresa e Rocco (espediente dei due cugini per far l’amore insieme); la ribellione di Nicola alla moglie Lucia (con il rifiuto di separarsi dal gruppo per festeggiare le nozze d’oro dei ricchissimi suoceri); l’idillio da fidanzatini di Peynet tra Franco e Tropea.

L’avventura finisce in gloria: sbagliando strada fino all’ultimo chilometro, i protagonisti arrivano a Scanzano quando la manifestazione è finita da ore, ma improvvisano ugualmente un concerto per Lucia, che è rimasta ad aspettarli tutta la notte per dichiarare amore e stima a Nicola (e vorrei conoscere una persona fatta così…).

Mentre all’alba finalmente Salvatore e Rocco si dichiarano (ma niente di sessuale, s’intende), Franco rincorre Tropea che, avendogli manifestato la propria tenerezza, s’immagina rifiutata (conosco troppe persone fatte così…).

Il film è garbato; sa sfiorare, in modo leggero, contenuti piuttosto intensi, ma non cade nella retorica. Gli sceneggiatori (Walter Lupo e Rocco Papaleo) e il regista (Rocco Papaleo) hanno cercato principalmente di caratterizzare i personaggi: il risultato è buono poiché tutti risultano perfettamente distinguibili tanto che lo spettatore assorbe l’idea di poterli incontrare per la strada o di riconoscerli tra i propri amici, e persino di poter immaginare le prossime loro fantasie.

Nicola è un professore disilluso dagli studenti e fedele a un ideale claudicante ma positivo; Franco è il tenero musicista che sta nel mondo come un pesce fuor d’acqua – la sua passione è proprio nel pescare, togliere l’amo dalla bocca del pesce per abbracciarlo e ributtarlo in acqua – (originale, a questo proposito, il siparietto di Tropea che riprende un finto dialogo tra il musicista e un pesce); Salvatore è un giovane aspirante medico, pieno di talento, che ha lasciato gli studi per seguire le orme del cugino Rocco e, dopo la notte d’amore, coerentemente ritrova il proprio destino, fulminato “sulla via di Damasco”. Rocco è il vero fallito del gruppo, bello come una divinità, incapace di fare qualsiasi cosa, ma sincero: anch’egli, dopo la notte d’amore, ritrova la propria strada, tornare a vivere e a lavorare a Maratea. Lucia, moglie di Rocco, è il personaggio rivoluzionario: violenta e sicura, in cerca di amore e di coraggio e disposta a riconoscerlo; è una figura femminile talmente moderna che, credo, nella realtà non possa esistere. Divertente la parte di Maria Teresa, personaggio di mozartiana memoria: una vera e propria Zerlina scatenata, che non prova vergogna nel desiderare il proprio piacere e la possibilità di concederlo. Bella figura, annoiata e presuntuosa, quella di Tropea Limongi, arrivista e poetica, risvegliata dal proprio atteggiamento narcisista grazie all’intervento dirompente di Maria Teresa, che riesce a farle scoprire il vero significato del divertimento, cioè il piacere del desiderio.

Il film, nonostante abbia il carattere della commedia, non ricorre alle tipiche oscenità cinematografiche che tanto suscitano il riso; il linguaggio è corretto e quasi castigato nelle piacevoli inflessioni dialettali e non c’è timore del sesso pur se questo non viene esibito ad ogni costo.

In chiusura propongo alcune osservazioni critiche: la storia è strutturata in un mosaico di piccoli episodi autonomi che lasciano il sapore di un non senso spazio-temporale; i profondissimi sentimenti raccontati – crisi esistenziali; scelta del silenzio; fallimenti professionali – sono illustrati con l’acquerello perciò somigliano a vestiti leggeri non adatti alla stagione; infine, la Basilicata si vede proprio poco…

La fotografia (Fabio OLMI) e le scenografie (Sonia PENG, Elio MAIELLO) ci sono sembrate senza infamia e senza lode; le musiche (Rita Marcotulli) erano accattivanti.

Pietro De Santis

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