“E lucean le stelle…”

“E lucean le stelle…”

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… arie d’opera e canzoni tradizionali napoletane

Soprani: Hae Young Hyun, Laura Pugliese, Lucilla Tumino
Tenori: Emil Alekoperov, Marco Iezzi, Guglielmo Pardo
Pianoforte: Mauro Arbusti.

Malborghetto è un’area archeologica – situata a venti chilometri da Roma sulla via Flaminia –; essa è costituita da un Arco Quadrifronte, trasformato nei secoli in edificio a tre piani, e da un parco ad esso adiacente ricco di reperti archeologici recuperati dagli scavi conclusi in epoca recente. L’edificio stesso è ora adibito a museo: ricco di terrecotte, erme, busti, lapidi, sarcofaghi di epoca romana questo luogo affascinante ormai da alcuni anni, nel mese di luglio, ospita un Festival di musica e teatro che propone anche eventi di rilievo, presentati in anteprima di tournée previste nella stagione autunnale.
Giovedì 23 luglio era in programma un concerto collettivo di arie d’opera e canzoni napoletane.

Prima di prendere in esame il programma della serata riteniamo necessario fare due premesse: innanzitutto è sempre difficoltoso cantare all’aperto – “sotto le stelle” – con le amplificazioni regolate al massimo per portare il suono fino all’ultima fila, mentre soffia un delizioso vento ponentino (rumore di tuono dalle casse acustiche); secondariamente, i programmi realizzano sempre un mediocre risultato nella mediazione tra le possibilità tecniche degli interpreti e non affrontano un discorso musicale organico.

Detto questo, ci sentiamo sempre inteneriti verso artisti alle prime armi – memori delle nostre perpetue prime armi – e lo siamo ancor di più verso artisti non più acerbi che, come in questo caso, si espongono di fronte ad un pubblico interessato e partecipe spinti dal desiderio di raccontare, con la propria voce, le storie che la musica propone.
Nel concerto di giovedì bisogna riconoscere alle voci femminili un migliore rispetto della musica ed un migliore impatto con il pubblico – anche grazie ad una valida attenzione per l’abito di scena: nero attillato l’uno, dorato e morbido l’atro, in un bell’accostamento di colori vivaci il terzo – mentre due dei tre tenori pativano un’aria piuttosto sciatta, musicalmente e anche nello smoking semi-informe oltre che nella capigliatura disordinata. Il terzo, Emil, proponeva invece la presenza scenica giusta per un tenore leggero anche nel portamento: spalle dritte e sguardo rivolto alla platea.

Per quanto riguarda la dizione e la comprensibilità della parola cantata, tra tutti il più valido ci è sembrato ancora Emil: Marco e Guglielmo articolavano le parole in modo incomprensibile a causa del cattivo metodo di intonazione che suggerisce di non pronunciare la vocale scritta ma quella più comoda per l’emissione del fiato (generalmente un suono tra A e O). In particolare Guglielmo incorreva in un ulteriore errore: cantare con il mento spinto verso il petto per riuscire ad aprire meglio la gola ed evitare suoni “strozzati”. Questa tecnica goffa rende, però, ancora più imprecisa l’intonazione e costringe gli artisti a ricorrere ad una sorta di “appoggiatura”: partire da un suono più facile (più basso) e raggiungere successivamente la nota precisa.
Le tre voci femminili vantavano un’intonazione più sicura ma non la capacità di articolare comprensibilmente tutte le sillabe: più naturale nel parlare cantando era Lucilla, meno Hae. L’articolazione di Laura risentiva di una tecnica antiquata che suggerisce di forzare la muscolatura del viso per mimare l’apertura della bocca alla pronuncia corretta delle vocali, come ricordano le maschere di terracotta usate dagli attori nell’antichità.

Un difetto comune dei concerti collettivi è inevitabile: ogni interprete presenta la “propria” aria come il “pezzo” più importante della serata. Abbiamo così assistito ad almeno dieci brani “conclusivi” con acuti a perdita di fiato e competizioni spinte a mostrare chi avesse l’acuto “più lungo”. Inutile aggiungere come ogni melodia, sebbene scritta con l’indicazione di piano magari con doppia p, venisse interpretata tra il forte ed il fortissimo anche per superare l’amplificazione del pianoforte davvero micidiale. Bisogna riconoscere ad Emil ed Hae il merito di avere cercato espressività più adeguate alle pagine interpretate: nelle arie di Franz Lehar il primo, e soprattutto in “Un bel di vedremo” (da Madama Butterfly di Puccini) la seconda.
Non sono stati eseguiti in maniera accettabile i brani a più voci, sebbene abbiamo destato l’entusiasmo del pubblico: assolutamente disastrose le canzoni napoletane, incomprensibili nella dizione e confuse nel ritmo. Abbastanza bene solo il brindisi dalla Traviata di Giuseppe Verdi, probabilmente perché eseguito spessissimo nei concerti collettivi.

È stato comunque tributato a tutti e sei gli artisti un applauso caloroso perché hanno tuttavia saputo trasmettere con entusiasmo la forza persuasiva della musica ed il tempo è volato via e non siamo riusciti ad annoiarci.

pietro de santis

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