Gli innamorati

Gli innamorati

goldonidi Carlo Goldoni
Produzione La Piccionaia – I Carrara
Drammaturgia di Carlo Presotto e Titino Carrara
con MARCO ARTUSI, ILARIA CANGIALOSI,
TITINO CARRARA, ARMANDO CARRARA,
MARTA MENEGHETTI
ANNALISA PESERICO e MASSIMO VINTI
Regia di Flavio Albanese

 
Di Carlo Goldoni è appena terminato il terzo centenario dalla nascita ed il giusto omaggio gli viene tributato da tutto il teatro italiano di cui, forse, è stato il principale propulsore. Anche il Comune di Morrovalle si è unito alle celebrazioni ospitando “Gli innamorati”, scritto del 1759.
Si tratta di un testo particolarmente innovativo per l’epoca; infatti non è solo una commedia degli equivoci, ma un lavoro in cui vengono messi bene in evidenza – esasperandone i tratti – alcuni aspetti peculiari del nostro inconscio sociale: la gelosia, la prepotenza e il bisogno di possesso di chi è innamorato, ma anche l’invidia e la stolidità di chi è concentrato solo su se stesso.

Facciamo subito, però, una premessa: lo spettacolo andato in scena era veramente sbagliato. Innanzitutto è stata infelice la scelta di “attualizzarlo”, ovvero ambientarlo in un periodo vagamente compreso tra gli anni trenta e gli anni cinquanta dello scorso secolo: la lingua, correttamente fedele alla scrittura originale, non “suonava” con le canzoni scelte ed anche il linguaggio corporeo diventava schizofrenico, diviso tra la “forma” evocata dalle battute comprese nel testo ed un’altra “forma” evocata dai costumi di scena e dal contesto scenografico.
La perdita di credibilità era totale: ad esempio, nel ripetuto dialogo – intercorso tra il padrone Fabrizio ed il servo Succianespole allo scopo di impegnare al Monte le posate d’oro o d’argento, rimanendo del tutto privi di posate per il pranzo – che nella commedia è fondamentale per la comprensione dei caratteri, c’è una evidente incongruenza: ciò che poteva aver senso per il secolo di Goldoni non lo aveva più nel millenovecentocinquanta, periodo in cui erano certamente disponibili servizi di posate di materiali nuovi a bassissimo costo.
Altra scelta, sbagliata tanto da divenire sgradevole, era quella di rendere i personaggi quasi caricature: è vero che il gusto della caricatura, almeno per il disegno, era molto sentito nel secolo di Goldoni e, per l’appunto, è stato lo stesso autore a compiere quest’opera con sapienza. Il regista aveva invece voluto insistere fino alla nausea nella ricerca della “battuta” arrivando il più possibile vicino allo sketch televisivo. In particolare erano sgradevoli le figure di Fabrizio “lo zio padrone”, che insisteva in una insulsa parodia di attori pugliesi, e del servitore Succianespole, personaggio talmente sgangherato da risultare incomprensibile. Altrettanto incomprensibile era divenuta la figura di Roberto, gentiluomo romano, i cui sentimenti involgariti dal regista, potevano essere diversamente intesi. Banale era la comicità scelta per la cameriera Lisetta, fondata sui tipici accenti napoletani, e insopportabile la figura di Flamminia, sorella della protagonista. Tognino era un simpatico servitore e i due innamorati, Fulgenzio ed Eugenia, risultavano solo poco più credibili, a dispetto delle scelte registiche, perché meno caratterizzati.
L’angusto palcoscenico non giovava ad un testo teatrale, che avrebbe bisogno di spazio e di movimento e che era stato già ampiamente mortificato dai troppi tagli operati malamente dai drammaturghi per scarsa comprensione, diciamo noi.

pietrodesantis
 

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