CARAMEL

CARAMEL

di Nadine Labaki

Caramel

Siamo andati a vedere questo film su suggerimento di una nostra amica molto garbata, che ci parlava di un mondo in cui le donne sono molto più avanti degli uomini. La nostra amica, per errore, collocava la storia in Iran, invece il film è ambietato a Beirut.
Alla fine del film appare infatti la dedica: “Alla Beirut che io amo” e, in effetti, la regista ci fa un po’ innamorare di quella cultura, sospesa tra il vecchio e l’antico, e spruzzata di modernità: si tratta del mondo visto attraverso la vita di quattro donne che lavorano nel “salone” di bellezza  Si belle, in una Beirut senza sparatorie.


Le storie che si dipanano hanno il comune denominatore del caramel, il caramello usato per depilare le belle gambe femminili, vero e proprio strumento di tortura.
Le storie sono semplici: Layale (Nadine Labaki) ha un amante sposato e fugge dal negozio ad ogni sua telefonata, per raggiungerlo e fare sesso in luoghi appartati quali discariche abusive o raccordi autostradali; Nisrine (Yasmine Al Masri) è fidanzata ad un ragazzo molto bello e un po’ spaccone, che litiga con il poliziotto di quartiere per difendere la propria virilità; Jamale (Gisèle Aouad) è una bellona attempata, separata con due figli, che tenta disperatamente di sembrare giovane e arrembante falsificando copiose mestruazioni – grazie alla boccetta dello smalto – e partecipando ad innumerevoli provini per la pubblicità; Rima (Joanna Moukarzel) è una lesbica affettuosa e dal carattere un po’ chiuso, che si vergogna del proprio corpo di femmina.
Fanno da corollario a questo piccolo mondo altri teneri personaggi: Rose (Siham Addad), l’anziana sarta del negozio di fronte, che ha sacrificato la propria vita alla sorella pazza Lili (Aziz Semaar) e viene corteggiata da un vecchio americano male in arnese; la moglie dell’amante di Layale che, per uno stratagemma delle amiche, è condotta al salone per una traumatica terapia; Youssef (Adel Karam) il poliziotto della stradale che ricopre di multe Layale per poterla corteggiare.
Appaiono inoltre immagini di vita quotidiana quali le famiglie riunite intorno alla TV o la processione di quartiere con la statua della Vergine Maria in una Beirut cosmopolita, pacifica ed affezionata a tutte le tradizioni.
Nel bel sottofinale c’è il matrimonio di Nisrine ed il corteggiamento ormai ufficiale di Youssef per Layale a cui, piccoli segni del destino manifestano l’approvazione “degli dei”: gli escrementi dei piccioni sui bei capelli.
Il finale è reso in modo poetico da due immagini: una bellissima ragazza misteriosa ha deciso di accettare l’omosessualità ed il taglio dei capelli di Rima e corre sul marciapiede finalmente libera, specchiandosi con allegria in ogni vetrina; Rose passeggia al tramonto per le strade di Beirut tenendo per mano Lili, che raccoglie ogni pezzo di carta cercando il bigliettino del suo amore… e la dedica “Alla Beirut che io amo”.
Tutte molto brave le attrici con un particolare plauso ad Aziz Semaar la pazza; le riprese sono fatte in modo estremamente efficace e rendono l’idea ambientale e culturale desiderata grazie a pochissimi particolari. Le musiche di Khaled Mouzanar sono essenziali per inquadrare tutto il mondo descritto.La storia raccontata da Nadine Labaki è una piccola favola che non corrisponde alla realtà, ma lascia trasparire una convinzione, probabilmente inconsapevole, ma più reale della stessa quotidiana oggettività e noi la sottoscriviamo senza esitazioni: la più profonda carica poetica ed affettiva nasce nella separazione dei sessi. Si tratta dell’enorme forza del desiderio dell’altro, d’amore e d’amicizia. Desiderio del piacere e piacere del desiderio (Sandro Gindro, Eroe e Artigiano, in Psicoanalisi Contro n.1, 1979) entrano a far parte dei nostri pensieri, ricoprendo l’altro di un misterioso velo semi-trasparente, e generano la consapevolezza che ogni rapporto umano debba essere anche un po’ recitato e non solo avidamente consumato dinanzi allo stupido altare del tempo. “Di ciò che è nascosto/ ho sempre avuto gran voglia/ con gli occhi scrutavo spiragli/ di ciò che nascondevi/ sotto i vestiti…” (Renzo Rossi, Otto poesie d’amore).

pietrodesantis

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