LA PAZZA

LA PAZZA

di María Luisa Gantes
Tratto da: Racconti delle Canarie
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canarie

Osservò attentamente nello specchio ciascuno dei suoi lineamenti: cominciavano a spuntare alcune rughe tenaci, ma il trucco le nascondeva sapientemente. Le sue guance pallide avrebbero ritrovato il sole grazie al “Bolero luminoso” che s’intonava col suo rossetto reclamizzato per televisione. Un neo artificiale, accanto alla bocca, è sempre stato un buon richiamo per la compagnia. Il vestito rosso aderisce al corpo e sottolinea il platino dei capelli.
“La borsa per i documenti, la borsa dei regali, la borsa del maquillage, la borsa delle riviste e la borsa per gli imprevisti. Pronta.”

“Hmmm! La mia pelle si delizia di questo meriggio tiepido. Mi piace l’aria fresca. Peccato che circolino sempre più automobili. Dove mi sto dirigendo? Pensa un momentino, María Antonia, hai sempre avuto una memoria zoppicante. Ah, sì! Come ho potuto scordarmelo? Devo denunciare la scomparsa di César. Sono sicura che lo troverò; non capisco come ha potuto andarsene in quel modo, svignandosela senza dir nulla. Come sono bella! Tutti gli uomini mi guardano. Gli operai dell’edificio nuovo mi lanceranno sicuramente complimenti piccanti. Però, non mi ero accorta che avessero demolito la casa dei signori Guerra, che fine avranno fatto?”
“Quel ragazzo coi riccioli mi guarda insistentemente, è carino, forse vorrebbe… Ma no, adesso bisbiglia qualcosa al suo amico e quell’altro mi grida non so cosa, non lo capisco, non lo voglio sentire. Andiamo, María Antonia, non sei più una bambina, non devi spaventarti, vorrà sicuramente farti sapere l’ammirazione che provochi in lui. Dopotutto, è logico, le ragazze di adesso non sanno vestirsi, non sono affatto eleganti. Tu, invece, nonostante abbia i tuoi annetti, non molti, chiaro, conservi una figura attraente e ti muovi con molta grazia. Ma perché questo tizio qui mi dice di star zitta? Oggigiorno non c’è più alcun rispetto per le signore!”

Le macchine cessarono progressivamente il loro ticchettio, mentre si diffondeva per tutto l’ufficio un mormorio di curiosità. Dietro il bancone, un uomo in uniforme si schiarì la voce prima di chiedere con ironia:
«Cosa desidera, signora?»; guardò i suoi colleghi con un gesto scherzoso, accingendosi a interpretare il proprio ruolo.
«Buona sera, signor agente. Ho smarrito il mio César alcuni giorni fa e, per quanto l’abbia cercato, non mi riesce di trovarlo. Potrebbe gentilmente dirmi come posso rintracciarlo?»
«Certamente, signora. Il suo… César, com’è? Me lo descriva per favore.»
«Oh, César è molto buono e affettuoso, un po’ brontolone, per via dell’età, mi capisce?, ma mi vuol bene e mi tiene compagnia. Io vivo sola, sa?»
«Bene, e allora…?»
«Insomma, lui mi protegge da quello che potrebbe capitarmi. Si sa che al giorno d’oggi una donna non può vivere tranquilla. Ci sono molti teppisti in giro, non crede?»
«Bene, d’accordo, ma vuol dirmi com’è César?»
«Non diventi nervoso. Glielo dirò: César è marrone con gli occhi color miele, peloso, con la coda arricciata e le orecchie dritte, vede?, così.»
Una risata generale fece abbassare le mani a María Antonia che, guardando gli uomini vestiti di uniformi azzurre, si stirò la gonna.
«Dai Mauricio, basta, dille che se ne vada, non vedi che è pazza?»
Le risate trapanarono di nuovo le orecchie di María Antonia, che sentì il consueto groppo alla gola. Facendo un ultimo sforzo, chiese di nuovo:
«Signor agente, potrebbe cortesemente dirmi come rintracciare il mio César?».
Fernández, senza sapere perché, provò compassione per quella donna. Sotto lo spesso strato di rossetto e trucco mal distribuito, si indovinavano profonde rughe che davano al suo volto un’inaspettata espressione di tristezza. Il suo continuo sorriso lasciava intravedere i denti gialli e sbreccati. I capelli, radi e scarsi, le cadevano scomposti sulle spalle curve. Accentuava il suo aspetto desolante quel vestito giovanile e provocante.
«Guardi, signora, noi non possiamo fare molto. Ci lasci il suo indirizzo e se qualche agente vede il suo cane, l’avvertiremo.»
«Papà Fernández e le sue opere di misericordia» gridò uno.
«È così che ti guadagni il paradiso, no?»
«Piantatela!» ribatté tra indignazione e vergogna il poliziotto.
María Antonia comprese. A quel punto comprese. Non avrebbe dovuto uscire. Perché aveva lasciato casa sua? Non si ricordava più cosa l’avesse fatta arrivare fin lì. Perché aveva lasciato casa sua? Ci sarebbero da lavare le tendine della cucina. Perché aveva lasciato casa sua? Il silenzio può romperlo il vecchio grammofono col suo disco eterno, quello che parla di desiderio irraggiungibile, di tenerezza calpestata e di verità inaudite. Perché aveva lasciato casa sua?
«Cosa? Come? Sì, sì, me ne vado, grazie per la loro attenzione, signori»; disegnò diligentemente un ultimo sorriso e abbassò gli occhi per non vedere volti umani.

L’appartamento odorava di calore di cucina, di fumo di sigaro, di naftalina. María Antonia chiuse la porta, accese la televisione, abbandonò le borse sull’attaccapanni e si lasciò cadere sulla poltrona dalle toppe logore. Riuscì a vedere la fine della trasmissione, quando il presentatore distribuisce, tra i sorrisi, migliaia e migliaia di pesetas ai concorrenti, che piangono di gratitudine davanti al pubblico. Piangeva anche María Antonia. Anche lei sapeva piangere.
 

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