Roberto Vecchioni – Il Cantastorie

Roberto Vecchioni – Il Cantastorie

 io cantastorie di Francisco Queyo

Lunedì 6 marzo è andato in scena al Teatro Olimpico in Roma, piazza Gentile da Fabriano, il concerto di Roberto Vecchioni, ultimo di una lunga e fortunata tournée.
Il concerto previsto per le 21,00 è iniziato con un forte ritardo che, arrecando solo un piccolo disagio, ha concesso la possibilità di studiare il pubblico degli affezionati.

È stato un rivedere “come eravamo”: ritrovare il puntiglioso Cesare, piccolo secchione, sposato con Patrizia, la primadonna ci ha immerso in un’atmosfera di liceo lontana e nostalgica. Perciò,  dimentichi della nostra età non più verde, eravamo quasi sorpresi nel considerare che la media degli spettatori doveva aver superato i trenta, anzi tendere direttamente ai cinquanta…
E mentre in giro si sentiva solo parlare della fava e della rava si comprendeva sempre di più che la maggioranza era costituita da una sola tipologia: professori di scuola media. La forte percentuale degli occhialuti testimoniava, nei modi e nel vestire, l’appartenenza alla sinistra soft intelligente. Abbigliamenti sostanzialmente castigati e solo qualche piercing maschile: teen ager due, forse condotti dalle mamme.
Alle nove e venticinque entra in platea Venditti e si capisce che il concerto va ad iniziare: lo sguardo si posa su di un bellissimo personaggio particolarmente handicappato. Si apre il sipario con quattro fasci di luce che suggeriscono un’aria finto fumosa intorno ai due musicisti: Patrizio Fariselli, al pianoforte, e Paolino Della Porta, al contrabbasso, aprono con una bella esecuzione di Summertime da Porgy and Bess di Gerswin. Sì, ci sentiamo tutti colti.
L’idea di Roberto Vecchioni è di dividere la serata, oltre che in tue tempi, in gruppetti di canzoni introdotte da una favoletta.

L’impressione è di un artista sgamato che tira acqua al suo mulino fingendo di dare più di quanto non faccia nella realtà: qualche facile battuta, qualche movimento tranquillo, da un lato all’altro del palcoscenico, l’inserviente che avvicina ed allontana due chitarre.
Normalmente le canzoni di Vecchioni sono noiose, piene di parole troppo significative per avere bisogno della rima e poco per poterne fare a meno: quasi tutte non tengono la scena né musicalmente né poeticamente, però sono di buon livello.
Molto bravi i musicisti e molto impegnati nel concerto che tocca sicuramente un’altezza elevata proprio grazie alle idee ed all’arrangiamento jazz. Molto belle soprattutto due canzoni di prima: Samarcanda, allegra, vitale e compiuta; Luci a San Siro, poeticamente monotona e fatta di rimpianti con un bellissimo testo. Non bella e pur nostalgica Vincent; presuntuose alcune, decadenti molte.
Il cantautore contastorie pensa molto alla propria morte.

treamici

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