La tigre e la neve

La tigre e la neve

la tigre e la neve 

La poesia ci salverà tutti

Il cuore ci tradisce. È uno strumento incompleto, che ci costringe a vedere il mondo, sotto un’ottica falsata. Si gonfia ed espande per la minima emozione, suscitando in noi, tali sconvolgimenti, che il più delle volte non riusciamo a seguire. Ci meravigliamo per un nonnulla, per i quotidiani miracoli che la vita ci somministra e che per gli occhi dei più, son dovute routine.

Quest’ingrato involucro dell’anima batte animato, tronfio ed orgoglioso: si erge spavaldo al solo incrociar lo sguardo altrui e ci lascia lì attoniti, privi di qualsiasi favella. Ebeti manichini, indegni del raziocinio che ci contraddistingue; privi della più remota possibilità, di sapersi adoperare, affinché i nostri recettori, sappiano dar giusto lustro, verbale o ideografico, a quanto in noi innescato.

Serve quindi una pellicola a ricordarci tutto questo, a rammentarci che dovremmo assaporare il nettare dei nostri giorni, affondando i canini nel midollo del quotidiano, che nulla si ripete e tutto si distingue, ma solo all’occhio di chi saprà distinguere il proprio posto in questo complicato, semplice mondo, fatto a misura d’uomo!

Lo sfondo di una guerra distoglie un po’ l’attenzione dal cuore del messaggio, caricando l’atmosfera di un messaggio sociale che nulla aggiunge allo svolgersi della vicenda: non è il contesto che ci rende unici, o ci fa fare la parte dei giganti. È il seme in noi germogliato, che ci dona luce propria!

Dei tre attori protagonisti, Benigni come al solito, è quello che regge sulle proprie spalle tutta la pellicola, sia con le sue battute che sono l’elemento catalizzatore per gli spettatori, sia con la sua “performance” meramente tecnica: seppur il suo volto sembra votato al sorriso e alla sua stimolazione, riesce ad essere credibile anche nei momenti drammatici, e vuoi con le parole, vuoi con la mimica, si rischia di commuoversi.

Nicoletta Braschi dal canto suo, è piuttosto statica, un’icona cui sono rivolte, per l’ennesima volta, tutte le attenzioni di Benigni attore, ma il suo personaggio è piuttosto sciapo e lei non mi sembra, riesca a dotarlo di una luce propria, che lo faccia apprezzare quindi per ulteriori doti, se non quelle della simpatia che nasce per affinità e immedesimazione con il protagonista.

Terzo elemento umano di spicco, il poeta iracheno Fuad, ovvero Jean Reno, che risulta quasi fuor d’acqua, leggermente basito e spiazzato dalla verve del toscano. Se il suo personaggio prevedeva di essere più distaccato dalla vicenda personale dell’innamorato poeta italiano, Reno è riuscito benissimo nella parte.

Le musiche sono ancora una volta di Nicola Piovani e il “tormentone” ricorrente che accompagna il sogno onnipresente del film ha la voce di Tom Waits: you can never hold back spring. In complesso un paio d’ore godibili, pur se le trovate questa volta, non possono chiamarsi tali e si rifanno per lo più all’interpretazione de “La vita è bella” ove il contorno della guerra, era assolutamente fondamentale, mentre qui, ripeto, stona leggermente.

sandraantonetti

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