Alla cieca

Alla cieca

alla cieca di Claudio Magris
Nuova Biblioteca Garzanti
344 pagine
€ 18.00
ISBN 881166217-6

Claudio Magris è nato a Trieste nel 1939. Docente universitario, collabora con Il Corriere della Sera; tra le sue opere: Itaca e oltre, Danubio, Dietro le parole, Illazioni su una sciabola, Un altro mare, Microcosmi, Utopia e disincanto e i testi teatrali Stadelman e La mostra.“È così che succedono le catastrofi, un difetto di vista, un equivoco, il timoniere che non vede lo scoglio perché guarda da un’altra parte; la morte è un vecchio pirata guercio, non vede davanti a sé e grida i suoi ordini alla cieca.”(pag.331); in queste parole si può racchiudere il senso del romanzo, duro, difficile, pieno di riferimenti storici e letterari, che strizza l’occhio a Italo Svevo e ad Edoardo Weiss, altri triestini severi.

La storia, se si vuole raccontarne una, è nella memoria di un pazzo, un alienato che si confessa allo psichiatra: si  tratta di uno strano personaggio che scolpisce polene, quelle statue femminili in legno che un tempo ornavano la prua delle navi. Anche le polene, dalle prue delle navi, seguivano un percorso alla cieca: le navi moderne, di metallo, sospinte da motori e non più dal vento, non hanno bisogno di polena per orientarsi perché il radar ha soppiantato la buona fortuna.

Il pazzo ha un nome, anzi più di uno: quello di un ufficiale di marina danese che diviene, per pochi giorni, re d’Islanda all’inizio del diciannovesimo secolo e quello di un triestino comunista spedito dal Partito in Istria, per aiutare i compagni titini alla fine della seconda guerra mondiale e poi altri ancora. Cos’hanno in comune questi personaggi febbrilmente rievocati? La speranza che il bene possa prevalere sul male. Di fronte a questa speranza anche l’amore sensuale e sentimentale per una donna, l’eterna Maria, passa in secondo piano ma, come diviene sempre più chiaro nel susseguirsi delle pagine, è sufficiente l’equivoco a vanificare ogni sforzo.

Spesso, però, si tratta di un equivoco voluto e l’artefice, vecchio pirata guercio, chiude di proposito l’occhio buono: “Nel mio viso vedevo le fedi perdute, le cicatrici del disinganno e del tradimento, mio e degli altri, e capivo che anche lui (…) vi leggeva lo stillicidio di ore e anni di dissimulazione, di menzogna e omissione”(pag. 230).

Individuiamo il pretesto del romanzo nella rievocazione di un fatto storico a lungo dimenticato e volutamente occultato: l’odissea dei circa duemila operai di Monfalcone, inviati in Istria dal Partito Comunista Italiano allo scopo di risollevare le fabbriche iugoslave, alla fine del secondo conflitto mondiale, invece perseguitati e incarcerati dalle milizie di Tito e infine, tornati in Italia, emarginati e additati come doppiamente traditori. A questo pretesto si sovrappone una profonda e meditata riflessione sulla donna, sul suo ruolo e sul  tradimento che sempre si compie nei suoi confronti.

Di Claudio Magris si apprezzano volentieri la profonda cultura, l’intensità della prosa e l’originalità delle invenzioni; il tono depressivo dei suoi scritti è inevitabile conseguenza dell’osservazione attenta del reale e dell’amore, ma è anche frutto di un inconsapevole equivoco che vogliamo dichiarare: l’amore della donna non è più leale né più profondo di quello dell’uomo.

pietrodesantis

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